Special Declarations

Search
In our time the Church is experiencing one of the greatest spiritual epidemics, that is, an almost universal doctrinal confusion and disorientation, which is a seriously contagious danger for spiritual health and eternal salvation for many souls. At the same time one has to recognize a widespread lethargy in the exercise of the Magisterium on different levels of the Church’s hierarchy in our days. This is largely caused by the non-compliance with the Apostolic duty...
Additional Languages:
italy
Italian

Nota esplicativa alla “Dichiarazione sulle verità riguardanti alcuni degli errori più comuni nella vita della Chiesa nel nostro tempo”

Nel nostro tempo la Chiesa sta vivendo una delle più grandi epidemie spirituali, cioè una confusione e un disorientamento dottrinale quasi universalmente diffusi, che costituiscono un serio pericolo di contagio per la salute spirituale e per la salvezza eterna di molte anime. Allo stesso tempo, ai giorni nostri dobbiamo riconoscere una pervasiva letargia nell’esercizio del Magistero a diversi livelli della gerarchia della Chiesa. Ciò è causato in gran parte dall’inosservanza del dovere apostolico – come affermato anche dal Concilio Vaticano II – di “vegliare per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano” (Lumen gentium, 25).

La nostra epoca è caratterizzata da un’acuta fame spirituale dei fedeli cattolici di tutto il mondo, fame di una riaffermazione di quelle verità che sono offuscate, minate e negate da alcuni degli errori più pericolosi del mondo attuale. I fedeli che soffrono una tale fame spirituale si sentono abbandonati in una sorta di periferia esistenziale. Una situazione del genere richiede urgentemente un rimedio concreto. Pertanto, una dichiarazione pubblica sulle verità riguardanti questi errori non può ammettere un ulteriore rinvio. Siamo consapevoli delle parole immortali del papa san Gregorio Magno: “Che la lingua non resti inceppata nell’esortare, e il nostro silenzio non condanni presso il giusto giudice noi, che abbiamo assunto l’ufficio di predicatori. (…) Coloro che ci sono stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli” (In Ev. hom. 17, 3. 14).

Siamo consapevoli della nostra grave responsabilità di vescovi cattolici secondo l’ammonimento di san Paolo, il quale insegna che Dio ha dato alla sua Chiesa “alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare sé stesso nella carità” (Ef 4, 11-16).

Nello spirito di carità fraterna, pubblichiamo questa Dichiarazione come un aiuto spirituale concreto, in modo che vescovi, sacerdoti, parrocchie, conventi religiosi, associazioni di fedeli laici e persone private possano avere l’opportunità di confessare, privatamente o pubblicamente, le verità che ai nostri giorni sono per lo più negate o sfigurate. La seguente esortazione dell’Apostolo Paolo dovrebbe essere intesa come rivolta anche a ciascun vescovo e fedele laico del nostro tempo: “Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tm 6, 12-14).

Agli occhi del Giudice Divino e della propria coscienza, ogni vescovo, sacerdote e fedele laico ha il dovere morale di testimoniare in modo inequivocabile quelle verità oggi offuscate, minate e negate. Atti pubblici e privati, con la diffusione di​ una dichiarazione come questa, potrebbero avviare un movimento di confessione della verità e della sua difesa, di riparazione per i numerosi peccati contro la Fede e soprattutto per i peccati di apostasia – nascosta e aperta – dalla Fede cattolica di un non piccolo numero di fedeli, sia tra il clero sia tra i laici. Bisogna però ricordare che un tale movimento non sarà una questione di numeri, ma di verità, così come formulato da san Gregorio Nazianzeno in mezzo alla generale confusione dottrinale della crisi ariana, quando affermò che Dio non si compiace nei numeri (cfr. Or. 42, 7).

Nel dare testimonianza all’immutabile fede cattolica, clero e laici ricorderanno che “la totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando ‘dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici’ mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale” (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12).

I santi e i grandi vescovi vissuti in tempi di crisi dottrinali possono intercedere per noi e guidarci con le loro parole, come ad esempio sant’Agostino, che così si rivolse a papa san Bonifacio I: “Poiché la vigilanza pastorale è comune a tutti noi che esercitiamo l’ufficio dell’episcopato, sebbene tu primeggi in essa per la sede più alta, io faccio quello che posso, secondo la piccolezza del mio ufficio e secondo quanto il Signore si degna donarmi con l’aiuto delle tue orazioni” (Contra ep. Pel. I, 2).

Una voce comune dei Pastori e dei fedeli, attraverso una precisa dichiarazione delle verità, sarà senza dubbio un mezzo efficace di aiuto fraterno e filiale per il Sommo Pontefice, nell’attuale situazione straordinaria di confusione dottrinale e di generale disorientamento nella vita della Chiesa.

Facciamo questa pubblica Dichiarazione nello spirito della carità cristiana, che si manifesta nella cura della salute spirituale sia dei pastori sia dei fedeli, cioè di tutti i membri del corpo di Cristo, che è la Chiesa, memori delle seguenti parole di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1 Cor 12, 25-27); e nella Lettera ai Romani: “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore” (Rom 12, 4-11).

I cardinali e vescovi firmatari di questa “Dichiarazione sulle verità” l’affidano al Cuore Immacolato della Madre di Dio sotto l’invocazione “Salus populi Romani”, tenendo conto del significato spirituale privilegiato di questa icona per la Chiesa Romana. Possa l’intera Chiesa Cattolica sotto la protezione della Vergine Immacolata e Madre di Dio, “combattere intrepidamente la buona battaglia della Fede, persistere saldamente nell’insegnamento degli Apostoli e procedere sicura fra le tempeste del mondo, fino a raggiungere la città celeste” (Prefazio della Santa Messa in onore della beata Vergine Maria “Salvezza del popolo romano”).

31 maggio 2019
Cardinale Raymond Leo Burke, Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta
Cardinal Janis Pujats, Arcivescovo emerito di Riga
Tomash Peta, Arcivescovo dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana
Jan Pawel Lenga, Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda
Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

poland_icon
Polish

Nota wyjaśniająca do „Deklaracji dotyczącej prawd odnoszących się do niektórych błędów najbardziej rozpowszechnionych w życiu Kościoła naszych czasów”

Kościół przeżywa w naszych czasach jedną z najpoważniejszych duchowych epidemii, polegającą na niemal powszechnym zamieszaniu i doktrynalnej dezorientacji przez co zdrowie duchowe i wieczne zbawienie wielu dusz jest w poważnym niebezpieczeństwie. Równocześnie musimy uznać wszechogarniający letarg w wykonywaniu Nauczycielskiego Urzędu na różnych poziomach hierarchii Kościoła. Wynika to w dużej mierze z zaniedbania potwierdzonego przez Sobór Watykański II apostolskiego obowiązku czujnego oddalania od powierzonej sobie trzody grożących jej błędów (por. Lumen gentium, 25).

Nasze czasy naznaczone są ostrym duchowym głodem, na jaki cierpią wierni katolicy rozproszeni po całym świecie. Jest to głów potwierdzenia na nowo tych prawd, które są nadszarpnięte, podważane i którym sprzeciwiają się jedne z najniebezpieczniejszych błędów naszych czasów. Wierni, którzy doznają takiego duchowego głodu, czują się opuszczeni w swego rodzaju egzystencjalnych peryferiach. Sytuacja ta pilnie domaga się konkretnego środka zaradczego. Stąd nie można zgadzać się na dalsze odkładanie w czasie publicznego oświadczenia dotyczącego błędów naszych czasów. Zdajemy sobie sprawę ze znaczenia niezapomnianych słów papieża św. Grzegorza Wielkiego: „Niech język nie ustaje w napominaniu, aby nasze milczenie nie potępiło nas wobec sprawiedliwego sędziego, od którego przyjęliśmy urząd nauczycielski. (…) Ci, którzy zostali nam powierzeni porzucają Boga, a my milczymy. Upadają w swoje grzechy, a my nie wyciągamy ku nim ręki, aby ich poprawić ”(In Ev. hom. 17,3.14).

Jesteśmy świadomi ciążącej na nas, katolickich biskupach poważnej odpowiedzialności zgodnie z tym, o czym pisał św. Paweł, który nauczał, że Bóg ustanowił w swoim Kościele „jednych apostołami, innych prorokami, innych ewangelistami, innych pasterzami i nauczycielami dla przysposobienia świętych do wykonywania posługi, celem budowania Ciała Chrystusowego, aż dojdziemy wszyscy razem do jedności wiary i pełnego poznania Syna Bożego, do człowieka doskonałego, do miary wielkości według Pełni Chrystusa. [Chodzi o to], abyśmy już nie byli dziećmi, którymi miotają fale i porusza każdy powiew nauki, na skutek oszustwa ze strony ludzi i przebiegłości w sprowadzaniu na manowce fałszu. Natomiast żyjąc prawdziwie w miłości sprawmy, by wszystko rosło ku Temu, który jest Głową – ku Chrystusowi. Z Niego całe Ciało – zespalane i utrzymywane w łączności dzięki całej więzi umacniającej każdy z członków stosownie do jego miary – przyczynia sobie wzrostu dla budowania siebie w miłości” (Ef 4,11-16).

W duchu braterskiej miłości publikujemy tę Deklarację dotyczącą prawd jako konkretną pomoc duchową tak, aby biskupi, kapłani, parafie, wspólnoty zakonne, stowarzyszenia wiernych świeckich i osoby prywatne miały możliwość prywatnego lub publicznego potwierdzenia tych prawd, które w naszych czasach są najczęściej odrzucane lub zniekształcane. Poniższe wezwanie Apostoła Pawła jest skierowanej także do każdego biskupa i wiernego świeckiego żyjącego obecnie: „Walcz w dobrych zawodach o wiarę, zdobądź życie wieczne: do niego zostałeś powołany i [o nim] złożyłeś dobre wyznanie wobec wielu świadków. Nakazuję w obliczu Boga, który ożywia wszystko, i Chrystusa Jezusa – Tego, który złożył dobre wyznanie za Poncjusza Piłata – ażebyś zachował przykazanie nieskalane, bez zarzutu aż do objawienia się naszego Pana, Jezusa Chrystusa” (1 Tm 6,12-14).

Boski Sędzia oraz własne sumienie każdego biskupa, kapłana i wiernego świeckiego nakłada moralny obowiązek złożenia jednoznacznego świadectwa o tych prawdach, które dzisiaj są zaciemniane, podważane i którym się dzisiaj zaprzecza. Publiczne i prywatne przyznawanie się do niniejszej deklaracji być może zainicjuje ruch wyznawania prawdy, jej obrony i zadośćuczynienia za szerzące się grzechy przeciwko wierze, za grzechy odstępowania w sposób ukryty bądź jawny od wiary katolickiej nie małej liczby tak duchownych, jak i świeckich. Należy jednak pamiętać, że ruch ten nie będzie kwestią liczb, ale prawdy, zgodnie ze słowami św. Grzegorza z Nazjanzu wypowiedzianymi w czasie ogólnego zamieszania doktrynalnego spowodowanego kryzysem ariańskim: „Bóg nie ma upodobania w liczbach” (Or. 42,7).

Dając świadectwo niezmiennej wierze katolickiej duchowni i świeccy powinni pamiętać, że „ogół wiernych, mających namaszczenie od Świętego, nie może zbłądzić w wierze i tę szczególną swoją właściwość ujawnia przez nadprzyrodzony zmysł wiary całego ludu, gdy „poczynając od biskupów aż po ostatniego z wiernych świeckich” ujawnia on swą powszechną zgodność w sprawach wiary i obyczajów” (Sobór Watykański II, Lumen gentium, 12).

Święci i wielcy biskupi, którzy żyli w czasach kryzysów doktrynalnych, będą wstawiać się za nami i prowadzić nas swoimi słowami, jak na przykład św. Augustyn, który zwrócił się do papieża św. Bonifacego I: „Ponieważ czujność pasterska jest wspólna wszystkim nam, którzy dźwigamy urząd biskupi, to chociaż przewodzisz w nim zasiadając na najwyższym urzędzie, ja robię, co mogę, stosownie do małości mojego urzędu i do tego, co dzięki wsparciu twoich modlitw, Pan zechce mi dać” (Contra ep. Pel. I,2).

Wspólny głos pasterzy i wiernych wyrażony wyrażony za pomocą precyzyjnej deklaracji dotyczącej prawd będzie niewątpliwie skutecznym sposobem braterskiej i synowskiej pomocy udzielonej papieżowi w obecnej, nadzwyczajnej sytuacji ogólnego zamieszania doktrynalnego i powszechnego nieuporządkowania w życiu Kościoła.

Składamy tę publiczną Deklarację w duchu chrześcijańskiej miłości, która przejawia się w trosce o duchowe zdrowie zarówno pasterzy, jak i wiernych, to znaczy wszystkich członków ciała Chrystusowego, którym jest Kościół, pamiętając o następujących słowach św. Pawła z Pierwszego Listu do Koryntian: „by nie było rozdwojenia w ciele, lecz żeby poszczególne członki troszczyły się o siebie nawzajem. Tak więc, gdy cierpi jeden członek, współcierpią wszystkie inne członki; podobnie gdy jednemu członkowi okazywane jest poszanowanie, współweselą się wszystkie członki. Wy przeto jesteście Ciałem Chrystusa i poszczególnymi członkami” (1 Kor 12,25-27) i z Listu do Rzymian: „Jak bowiem w jednym ciele mamy wiele członków, a nie wszystkie członki spełniają tę samą czynność – podobnie wszyscy razem tworzymy jedno ciało w Chrystusie, a każdy z osobna jesteśmy nawzajem dla siebie członkami. Mamy zaś według udzielonej nam łaski różne dary: bądź dar proroctwa –[do stosowania] zgodnie z wiarą; bądź to urząd diakona – dla wykonywania czynności diakońskich; bądź urząd nauczyciela – dla wypełniania czynności nauczycielskich; bądź dar upominania – dla karcenia. Kto zajmuje się rozdawaniem, [niech to czyni] ze szczodrobliwością; kto jest przełożonym, [niech działa] z gorliwością; kto pełni uczynki miłosierdzia, [niech to czyni] ochoczo. Miłość niech będzie bez obłudy! Miejcie wstręt do złego, podążajcie za dobrem! W miłości braterskiej nawzajem bądźcie życzliwi! W okazywaniu czci jedni drugich wyprzedzajcie! Nie opuszczajcie się w gorliwości! Bądźcie płomiennego ducha! Pełnijcie służbę Panu” (Rz 12,4-11).

Kardynałowie i biskupi, sygnatariusze tej „Deklaracji dotyczącej prawd”, powierzają ją Niepokalanemu Sercu Matki Bożej pod wezwaniem „Salus populi Romani”, biorąc pod uwagę uprzywilejowane duchowe znaczenie tej ikony dla Kościoła rzymskiego. Niech cały Kościół katolicki pod opieką Niepokalanej Dziewicy i Matki Bożej „nieustraszenie walczy w dobrej walce o wiarę, niezachwianie trwa w nauczaniu Apostołów i postępujcie bezpiecznie wśród burz świata, aż do osiągnięcia niebiańskiego miasta” (Prefacja Mszy św. ku czci Najświętszej Maryi Panny „Salus populi Romani”).

31 maja 2019
Kardynal Raymond Leo Burke, Patron Suwerennego Zakonu Maltańskiego
Kardynal Janis Pujats, Arcybiskup emerytowany Rygi
Tomash Peta, Arcybiskup Metropolita Archidiecezji Najświętszej Maryi Panny w Astanie
Jan Pawel Lenga, Arcybiskup-biskup emerytowany Karagandy
Athanasius Schneider, Biskup pomocniczy Archidiecezji Najświętszej Maryi Panny w Astanie

portugal_icon
Portuguese

Nota explicativa à Declaração de verdades relacionadas com alguns dos erros mais comuns na vida da Igreja do nosso tempo

A Igreja atual sofre uma das maiores epidemias espirituais de sempre. Uma confusão e desorientação doutrinais de alcance quase universal. Este fenómeno representa um sério perigo de contágio para a saúde espiritual e a salvação eterna de numerosas almas. Ao mesmo tempo, é preciso reconhecer uma letargia espiritual generalizada no exercício do Magistério a diversos níveis da hierarquia da Igreja de hoje. Em grande parte, isso se deve ao facto que não ter sido observado o dever apostólico – como tem sido afirmado também pelo Concílio Vaticano II – de que os bispos devem «solicitamente afastar os erros que ameaçam o seu rebanho» (Lumen gentium, 25).

Os tempos em que vivemos se caracterizam por uma aguda fome espiritual dos fiéis católicos de todo o mundo para que se reafirmem as verdades que foram obscurecidas, minadas e negadas por alguns dos mais perigosos erros da nossa época. Os fiéis que padecem desta fome espiritual se sentem abandonados e se encontram, por isso, numa espécie de periferia existencial. Esta situação requer com urgência um remédio concreto. Não admite mais demora uma Declaração pública das verdades que se opõem aos erros mencionados. Temos, por tanto, presentes as seguintes palavras do Papa São Gregório Magno, válidas para todos os tempos: «Não se canse nossa língua para exortar e, tendo assumido o cargo de bispo, não nos condene nosso silêncio ante o tribunal do justo Juiz. (…) O rebanho que nos foi encomendado abandona Deus, e nós nos calamos. Vive no pecado, e não estendemos a mão para corrigi-lo» (Hom. In ev., 17, 3.14).

Estamos conscientes da grave responsabilidade que temos como bispos católicos, conforme a admoestação de São Paulo, que ensina que Deus deu à sua Igreja «pastores e doutores com o propósito de aperfeiçoar os santos para a obra do ministério, para que o Corpo de Cristo seja edificado, até que todos alcancemos a unidade da fé e do conhecimento do Filho de Deus e cheguemos à maturidade, atingindo a medida da estatura da plenitude de Cristo. O objetivo é que não sejamos mais como crianças, levados de um lado para o outro pelas ondas teológicas, nem jogados para cá e para lá por todo vento de doutrina e pela malícia de certas pessoas que induzem os incautos ao erro. Longe disso, seguindo a verdade em amor, cresçamos em tudo naquele que é a cabeça, Cristo. É a partir dele que todo o Corpo inteiro, bem ajustado e unido, por meio de todas as articulações que o sustentam, segundo uma força à medida de cada uma das partes, realiza o seu crescimento como Corpo, para se construir a si próprio no amor» (Ef. 4, 12-16).

Com o espírito de caridade fraterna, publicamos a presente Declaração de verdades como modo de ajuda espiritual concreta para que bispos, sacerdotes, paróquias, comunidades religiosas, associações de fiéis leigos e pessoas privadas tenham a oportunidade de confessar privada e publicamente as verdades que mais se negam ou desfiguram em nossos tempos. A seguinte exortação do apóstolo São Paulo deve entender-se como dirigida a cada bispo e fiel leigo de hoje: «Combate a boa batalha da fé. Toma posse da vida eterna, para a qual foste convocado, tendo já realizado boa confissão diante de muitas testemunhas. Na presença de Deus, que a tudo dá vida, e de Cristo Jesus, que perante Pôncio Pilatos fez o perfeito testemunho, eu te exorto Guarda este mandamento imaculado e irrepreensível até a manifestação de nosso Senhor Jesus Cristo» (1 Tim. 6,12-14).
Diante dos olhos do Divino Juiz e da própria consciência, cada bispo, sacerdote e fiel leigo tem o dever moral de dar testemunho inequívoco das verdades que hoje em dia se obscurecem, minam e negam. Declarando estas verdades mediante actos públicos e privados podia iniciar-se um movimento de confissão da verdade, da defesa e da reparação pelos pecados generalizados contra a fé e pelos pecados secretos e públicos de apostasia, dissimulada ou manifesta, de não poucos clérigos e leigos. É necessário ter presente que o que importa num tal movimento não é o número, mas a verdade, como afirmou São Gregório Nazianzeno diante da confusão doutrinal generalizada da crise ariana, quando declarou que Deus não se compraz nos números (cfr. Or. 42,7).

Ao dar testemunho da perene fé católica, o clero e os fiéis recordarão a verdade de que «a totalidade dos fiéis que receberam a unção do Santo (cfr. Jo. 2, 20 e 27), não pode enganar-se na fé; e esta sua propriedade peculiar manifesta-se por meio do sentir sobrenatural da fé do povo todo, quando este, «desde os Bispos até ao último dos leigos fiéis», manifesta consenso universal em matéria de fé e costumes.» (Concílio Vaticano II, Lumen gentium, 12).

Os santos e grandes bispos que viveram em tempos de crises doutrinais podem interceder por nós e guiar-nos mediante seu ensinamento, como o fazem as seguintes palavras de Santo Agostinho dirigidas ao Papa São Bonifácio I: «Dado que todos os que exercemos o episcopado compartilhamos uma mesma vigilância pastoral (embora tu vigies desde uma altura superior), faço o que posso com respeito à minha pequena porção de rebanho na medida em que o Senhor se digna conceder-me mediante as tuas orações» (Contra ep. pel., 1,2).

A voz unânime dos pastores e dos fiéis numa precisa Declaração de verdades será indubitavelmente um meio eficaz de ajuda fraterna e filial ao Sumo Pontífice na extraordinária situação atual de confusão doutrinal generalizada e de desorientação que reina na Igreja.

Fazemos esta Declaração com espírito de caridade cristã, que se manifesta velando pela saúde espiritual dos pastores e dos fiéis; quer dizer, de todos os membros do Corpo de Cristo, que é a Igreja, tendo presentes as seguintes palavras de São Paulo na sua Primeira Epístola aos Coríntios: «Para que não haja divisão no corpo, mas que os membros tenham igual cuidado uns dos outros. De maneira que, se um membro padece, todos os membros padecem com ele; e, se um membro é honrado, todos os membros se regozijam com ele.» (1 Cor.12, 25-27), e na carta aos Romanos: «Pois assim como em um corpo temos muitos membros, e nem todos os membros têm a mesma função, assim nós, embora muitos, somos um só corpo em Cristo, e individualmente uns dos outros. De modo que, tendo diferentes dons segundo a graça que nos foi dada, se é profecia, seja ela segundo a medida da fé; se é ministério, seja em ministrar; se é ensinar, haja dedicação ao ensino; ou que exorta, use esse dom em exortar. (…) Aborrecei o mal e apegai-vos ao bem. Amai-vos cordialmente uns aos outros com amor fraternal, preferindo-vos em honra uns aos outros; não sejais vagarosos no cuidado; sede fervorosos no espírito, servindo ao Senhor» (Rm. 12, 4-11).

Os cardeais e bispos signatários desta “Declaração de verdades” a encomendam ao Coração Imaculado da Mãe de Deus sob a invocação “Salus populi Romani”, considerando o privilegiado significado espiritual que este ícone tem para a Igreja Romana. Que toda a Igreja Católica possa, sob a proteção da Virgem Imaculada e Mãe de Deus, “lutar intrepidamente a boa batalha da fé, perseverar firmemente na doutrina dos apóstolos e proceder seguramente entre as tempestades do mundo até chegar à cidade celestial” (Prefácio da Missa em honra da Bem-aventurada Virgem Maria “Salvação do povo Romano”).

31 de maio de 2019
Cardeal Raymond Leo Burke, Patrono da Soberana e Militar Ordem de Malta
Cardinal Janis Pujats, Arcebispo emérito de Riga
Tomash Peta, Arcebispo da arquidiocese de Maria Santíssima em Astana
Jan Pawel Lenga, Arcebispo-Bispo emérito de Karaganda
Athanasius Schneider, Bispo Auxiliar da arquidiocese de Maria Santíssima em Astana

spain_icon
Spanish

Nota explicativa a la Declaración de las verdades relacionadas con algunos de los errores más comunes en la vida de la Iglesia de nuestro tiempo

La Iglesia actual sufre una de las mayores epidemias espirituales. Es decir, una confusión y desorientación doctrinal de alcance casi universal, que suponen un peligro seriamente contagioso para la salud espiritual y la salvación eterna de numerosas almas. Al mismo tiempo, es preciso reconocer un letargo espiritual generalizado en el ejercicio del Magisterio a diversos niveles de la jerarquía de la Iglesia de hoy. En buena parte, ello obedece a que no se ha observado el deber Apostólico – según lo declarado también por el Concilio Vaticano II – que los obispos deben «con vigilancia, apartar de su grey los errores que la amenazan» (Lumen gentium, 25).

Los tiempos que vivimos se caracterizan por una aguda hambre espiritual de los fieles católicos de todo mundo para que se reafirmen las verdades que han sido oscurecidas, socavadas y negadas por algunos de los más peligrosos errores de nuestra época. Los fieles que padecen esta hambre espiritual se sienten abandonados, y se encuentran por eso en una especie de periferia existencial. Semejante situación requiere con urgencia un remedio concreto. No admite más demora una declaración pública de las verdades que se oponen a dichos errores. Tenemos, por tanto, presentes las siguientes palabras del papa San Gregorio Magno, válidas para todos los tiempos: «No flaquee nuestra lengua para exhortar y, habiendo asumido el cargo de obispo, no nos condene nuestro silencio ante el tribunal del justo Juez (…) La grey que nos ha sido encomendada abandona a Dios, y callamos. Vive en pecado, y no alargamos la mano para corregirla» (Hom. In ev., 17,3.14).

Somos conscientes de la grave responsabilidad que tenemos como obispos católicos conforme a la amonestación de San Pablo, que enseña que Dios dio a su Iglesia «pastores y doctores a fin de perfeccionar a los santos para la obra del ministerio, para la edificación del cuerpo de Cristo hasta que todos lleguemos a la unidad de la fe y del pleno conocimiento del Hijo de Dios, al estado de varón perfecto, alcanzando la estatura propia del Cristo total, para que ya no seamos niños fluctuantes y llevados a la deriva por todo viento de doctrina, al antojo de la humana malicia, de la astucia que conduce engañosamente al error. Sino que, andando en la verdad por el amor, en todo crezcamos hacia adentro de Aquel que es la cabeza, Cristo. De Él todo el cuerpo, bien trabado y ligado entre sí por todas las coyunturas que se ayudan mutuamente según la actividad propia de cada miembro, recibe su crecimiento para ir edificándole en el amor» (Ef 4, 12-16).

Con espíritu de caridad fraterna, publicamos la presente Declaración de verdades a modo de ayuda espiritual concreta para que los obispos, sacerdotes, parroquias, comunidades religiosas, asociaciones de fieles laicos y particulares tengan oportunidad de confesar en privado o en público las verdades que más se niegan o desfiguran en nuestros tiempos. La siguiente exhortación del apóstol San Pablo debe entenderse como dirigida a cada obispo y fiel laico de hoy: «Lucha la buena lucha de la fe; echa mano de la vida eterna, para la cual fuiste llamado, y de la cual hiciste aquella bella confesión delante de muchos testigos. Te ruego, en presencia de Dios que da vida a todas las cosas, y de Cristo Jesús –el cual hizo bajo Poncio Pilato la bella confesión– que guardes tu mandato sin mancha y sin reproche hasta la aparición de nuestro Señor Jesucristo» (1Tim 6,12-14).

Ante la mirada del Divino Juez y en su propia conciencia, todo obispo, sacerdote y fiel laico tiene el deber moral de dar testimonio inequívoco de las verdades que hoy en día se oscurecen, socavan y niegan. Declarando dichas verdades mediante actos públicos y privados se podría iniciar un movimiento de confesión de la Verdad, de defensa y reparación por los pecados generalizados contra la Fe y por los pecados secretos y públicos de apostasía, disimulada o manifiesta, de no pocos clérigos y seglares. Eso sí, hay que tener presente que lo que importa en tal movimiento no es el número de sus miembros, sino la verdad, como afirmó San Gregorio Nacianceno ante la confusión doctrinal generalizada de la crisis arriana, cuando declaró que Dios no se complace en los números (cf. Or. 42,7).

Al dar testimonio de la perenne fe católica, clero y fieles recordarán la verdad de que «la totalidad de los fieles no puede equivocarse cuando cree, y esta prerrogativa peculiar suya la manifiesta mediante el sentido sobrenatural de la fe de todo el pueblo cuando “desde los Obispos hasta los últimos fieles laicos” presta su consentimiento universal en las cosas de fe y costumbres» (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12).

Los santos y los grandes obispos que vivieron en tiempos de crisis doctrinales pueden interceder por nosotros y guiarnos mediante su enseñanza, como lo hacen las siguientes palabras de San Agustín dirigidas al Papa San Bonifacio I: «Dado que todos los que ejercemos el episcopado compartimos una misma atalaya pastoral (si bien tu vigilas desde una altura superior), hago lo que está en mis manos con respecto a mi pequeña porción del rebaño en la medida en que el Señor se digna concederme autoridad mediante la ayuda de tus oraciones » (Contra ep. pel., 1,2).

La voz unánime de los pastores y los fieles en una precisa declaración de verdades será indudablemente un medio eficaz de ayuda fraternal y filial al Sumo Pontífice en la extraordinaria situación actual de confusión doctrinal generalizada y desorientación que reina en la vida de la Iglesia.

Hacemos esta Declaración con espíritu de caridad cristiana, la cual se manifiesta velando por la salud espiritual de los pastores y los fieles; es decir, de todos los miembros del Cuerpo de Cristo, que es la Iglesia, teniendo presentes las siguientes palabras de San Pablo en su Primera Epístola a los Corintios: «Que no haya disensión en el cuerpo, sino que los miembros tengan el mismo cuidado los unos por los otros. Por donde si un miembro sufre, sufren con él todos los miembros; y si un miembro es honrado, se regocijan con él todos los miembros» (1Cor 12, 25-27), y en la carta a los Romanos: «Pues así como tenemos muchos miembros en un solo cuerpo, y no todos los miembros tienen la misma función, del mismo modo los que somos muchos, formamos un solo cuerpo en Cristo, pero en cuanto a cada uno somos recíprocamente miembros. Y tenemos dones diferentes conforme a la gracia que nos fue dada, ya de profecía para hablar según la regla de la fe, ya de ministerio, para servir; ya de enseñar, para la enseñanza; ya de exhortar, para la exhortación. (…) Aborreced lo que es malo, apegaos a lo que es bueno. En el amor a los hermanos sed afectuosos unos con otros; en cuanto al honor, daos preferencia mutuamente. En la solicitud, no seáis perezosos; en el espíritu sed fervientes; para el Señor sed servidores» (Rm 12, 4-11).

Los cardenales y obispos que firman esta “Declaración de verdades” la encomiendan al Corazón Inmaculado de la Madre de Dios bajo la advocación “Salus populi romani” (“Salvación del pueblo romano”) considerando el privilegiado significado espiritual que este ícono tiene para la Iglesia Romana. Que toda la Iglesia Católica, bajo la protección de la Virgen Inmaculada y Madre de Dios, “luche intrépidamente la buena batalla de la fe, persevere firmemente en la doctrina de los apóstoles y proceda seguramente entre las tempestades del mundo hasta llegar a la ciudad celestial” (Prefacio de la misa en honor de la Bienaventurada Virgen María “Salvación del pueblo romano”).

31 de mayo de 2019
Cardenal Raymond Leo Burke, Patrono de la Soberana y Militar Orden de Malta
Cardinal Janis Pujats, Arzobispo emérito de Riga
Tomash Peta, Arzobispo de la arquidiócesis de María Santísima in Astana
Jan Pawel Lenga, Arzobispo-Obispo emérito de Karaganda
Athanasius Schneider, Obispo Auxiliar de la arquidiócesis de María Santísima en Astana

france_icon
French

Note explicative à propos de la “Déclaration sur les vérités concernant les erreurs les plus communes dans la vie de l´Église de notre temps”

De nos jours l´Église vit une des plus graves épidémies spirituelles qu’Elle ait eues à subir, c´est à dire une confusion et une désorientation doctrinale presque universellement répandues. Ce fait représente un danger sérieux et contagieux pour la santé spirituelle et pour le salut éternel de beaucoup d’âmes. Dans le même temps nous devons constater une vaste léthargie dans l’exercice du Magistère à différents niveaux de la hiérarchie de l´Église. Ceci est dû en grande partie à la non-observation du devoir Apostolique, tel qu’il a également été réaffirmé par le Concile Vatican II, c´est-à-dire d´être “attentifs à écarter toutes les erreurs qui menacent leur troupeau” (Lumen gentium, 25).

Notre époque se caractérisée par une faim spirituelle aiguë chez les fidèles catholiques du monde entier, la faim d´une réaffirmation de vérités obscurcies, sapées et niées par les erreurs les plus dangereuses de notre temps. Les fidèles qui souffrent d’une telle faim spirituelle se sentent abandonnés dans une sorte de périphérie existentielle. Une telle situation exige d´urgence un remède concret. Par conséquent, une déclaration publique sur les vérités relatives à ces erreurs ne peut pas permettre un délai ultérieur. Il faut rappeler les paroles intemporelles suivantes du pape saint Grégoire le Grand : “Que nous ne laissions pas notre langue s’engourdir, lorsqu’il faut vous exhorter, et qu’après avoir accepté la charge de la prédication, nous ne soyons pas condamnés auprès du juste Juge par notre silence. (…) Ceux qui nous sont confiés abandonnent Dieu, et nous nous taisons. Ils gisent dans leur dépravation, et nous ne leur tendons pas la main en les corrigeant.” (In Ev. hom. 17, 3. 14)

Nous sommes conscients de notre grave responsabilité d’évêques catholiques selon l´admonition de saint Paul, quand il enseigne que Dieu a donné à son Église “les uns comme apôtres, les autres comme prophètes, les autres comme évangélistes, les autres comme pasteurs et docteurs, pour le perfectionnement des saints en vue de l’œuvre du ministère et de l’édification du corps du Christ, jusqu’à ce que nous soyons tous parvenus à l’unité de la foi et de la connaissance du Fils de Dieu, à l’état d’homme fait, à la mesure de la stature parfaite du Christ, afin que nous ne soyons plus des enfants, flottants et emportés à tout vent de doctrine, par la tromperie des hommes, par leur ruse dans les moyens de séduction, mais que, professant la vérité dans la charité, nous croissions à tous égards en celui qui est le chef, le Christ. C’est de Lui, et grâce à tous les liens de Son assistance, que tout le corps, bien coordonné et formant un solide assemblage, tire son accroissement selon la force qui convient à chacune de ses parties, et s’édifie lui-même dans la charité” (Eph. 4, 11-16).

Dans un esprit de charité fraternelle, nous publions cette “Déclaration sur les vérités” comme une aide spirituelle concrète, de sorte que des évêques, des prêtres, des paroisses, des couvents religieux, des associations de fidèles laïques et des particuliers puissent avoir l’opportunité de confesser, en privé comme en public, ces vérités qui, de nos jours, sont les plus niées ou défigurées. L´exhortation suivante de l´apôtre Paul doit être adressée aussi à chaque évêque et fidèle laïque de notre époque : “Combats le bon combat de la foi, saisis la vie éternelle, à laquelle tu as été appelé, et pour laquelle tu as fait une belle confession en présence d’un grand nombre de témoins. Je te recommande, devant Dieu qui donne la vie à toutes choses, et devant Jésus-Christ, qui fit une belle confession devant Ponce Pilate, de garder le commandement, et de vivre sans tache, sans reproche, jusqu’à l’apparition de notre Seigneur Jésus Christ.” (1 Tm. 6, 12-14)

Aux yeux du divin juge et en sa propre conscience, chaque évêque, prêtre et fidèle laïque a le devoir moral de témoigner d´une manière non équivoque de ces vérités. Des actes publics et privés, qui déclarent ces vérités, pourront être à l’origine d´un mouvement de confession de la vérité, de défense et de réparation pour les péchés contre la Foi, pour les péchés d´apostasie – cachée ou affichée – de la Foi catholique de la part d´un nombre non négligeable tant du clergé que des fidèles laïques. Il faut cependant considérer qu’un tel mouvement ne doit pas être une question de nombre, mais de vérité, comme l’a formulé saint Grégoire de Nazianze au milieu de la confusion doctrinale générale créée par la crise arienne, en disant que Dieu ne trouve pas plaisir dans les nombres (cf. Or. 42, 7).

En portant témoignage de l´immuable Foi catholique, le clergé et les fidèles se rappelleront de cette vérité que “la collectivité des fidèles, ayant l’onction qui vient du Saint (cf. 1 Jn 2, 20.27), ne peut se tromper dans la foi ; ce don particulier qu’elle possède, elle le manifeste moyennant le sens surnaturel de foi qui est celui du peuple tout entier lorsque, des évêques jusqu’aux derniers des fidèles laïcs, elle apporte aux vérités concernant la foi et les mœurs un consentement universel” (Lumen gentium, 12).

Que les Saints et les grands évêques qui ont vécu aux époques de crises doctrinales intercèdent pour nous et nous guident par leurs paroles, comme par exemple saint Augustin qui s´était adressé de cette manière au pape saint Boniface I : “Puisque la vigilance pastorale est commune à nous tous qui exerçons le ministère épiscopal, bien que tu en aies la primauté en raison du siège le plus haut, je fais ce que je peux, selon la petitesse de ma charge et selon ce que le Seigneur daigne me donner avec l´aide de tes prières.” (Contra ep. Pel. I, 2).

Une voix commune des Pasteurs et des fidèles, dans une déclaration précise des vérités, sera sans aucun doute un moyen efficace d´aide fraternelle et filiale pour le Souverain Pontife dans la situation extraordinaire actuelle de confusion doctrinale générale et de la désorientation dans la vie de l´Église de nos jours.

Nous faisons cette déclaration publique dans un esprit de charité chrétienne, qui se manifeste par le souci de la santé spirituelle tant des Pasteurs que des fidèles, c´est à dire de tous les membres du corps du Christ, qui est l´Église, en rappelant les paroles suivantes de saint Paul dans sa première lettre aux Corinthiens : “Afin qu’il n’y ait pas de division dans le corps, mais que les membres aient également soin les uns des autres. Et si un membre souffre, tous les membres souffrent avec lui ; si un membre est honoré, tous les membres se réjouissent avec lui. Vous êtes le corps du Christ, et vous êtes ses membres, chacun pour sa part.” (1 Cor. 12, 25-27), et dans la lettre aux Romains : “Car, comme nous avons plusieurs membres dans un seul corps, et que tous les membres n’ont pas la même fonction, ainsi, nous qui sommes plusieurs, nous formons un seul corps dans le Christ, et nous sommes tous membres les uns des autres. Puisque nous avons des dons différents, selon la grâce qui nous a été accordée, que celui qui a le don de prophétie l’exerce selon l’analogie de la foi ; que celui qui est appelé au ministère s’attache à son ministère ; que celui qui enseigne s’attache à son enseignement, et celui qui exhorte à l’exhortation. Que celui qui donne le fasse avec libéralité ; que celui qui préside le fasse avec zèle ; que celui qui pratique la miséricorde le fasse avec joie. Que la charité soit sans hypocrisie. Ayez le mal en horreur ; attachez-vous fortement au bien. Par amour fraternel, soyez pleins d’affection les uns pour les autres ; par honneur, usez de prévenances réciproques. Ayez du zèle, et non de la paresse. Soyez fervents d’esprit. Servez le Seigneur.” (Rom 12, 4-11).

Les cardinaux et évêques, signataires de cette “Déclaration sur les vérités”, la confient au Cœur Immaculé de la Mère de Dieu sous l´invocation “Salus populi Romani”, vu la signification spirituelle privilégiée que cette image a pour l´Église Romaine. Puisse l´Église catholique tout entière sous la protection de la Vierge Immaculée et Mère de Dieu, “combattre intrépidement le bon combat de la Foi, persévérer fermement dans l´enseignement des Apôtres et avancer sûrement au milieu des tempêtes du monde, jusqu´à parvenir à la cité céleste” (Préface de la Sainte Messe en l’honneur de la Bienheureuse Vierge Marie “Salut du peuple Romain”).

31 mai 2019
Cardinal Raymond Leo Burke, Patron de l´Ordre Souverain et Militaire de Malta
Cardinal Janis Pujats, Archevêque émérite de Riga
Tomash Peta, Archevêque de l´archidiocèse de Sainte Marie en Astana
Jan Pawel Lenga, Archevêque-Évêque émérite de Karaganda
Athanasius Schneider, Évêque Auxiliaire de l´archidiocèse de Sainte Marie en Astana

Your Excellency, Pope Francis’ new apostolic letter, issued motu proprio on July 16, 2021, is called “Traditionis Custodes” (Guardians of Tradition). What was your initial impression of the choice of this title? My initial impression was of a shepherd who instead of having the smell of his sheep, is angrily beating them with a stick.  What are your general impressions of the Motu Proprio and of Pope Francis’ accompanying Letter to the bishops of the...
Additional Languages:
portugal_icon
Portuguese

TRADIÇÃO TRAÍDA: Diane Montagna entrevista Dom Schneider sobre “Traditionis Custodes”

Em sua primeira entrevista escrita desde a publicação do novo decreto do Papa
Francisco restringindo a Missa Tradicional Latina, o Bispo Athanasius Schneider
disse que o documento “avilta” uma liturgia milenar do Rito Romano, comete uma
“injustiça” contra os Católicos que aderem a ela, e cria uma “sociedade de duas
classes” na Igreja.

“Os privilegiados de primeira classe são aqueles que aderem à liturgia reformada”,
afirma Dom Schneider, “e os católicos de segunda classe, que agora mal serão
tolerados, incluem um grande número de famílias Católicas, crianças, jovens e
sacerdotes” que, através da liturgia tradicional, “experimentaram, com grande
benefício espiritual, a realidade e o mistério da Igreja.”

O bispo também afirma que “a atitude fechada e o tom depreciativo” exibidos de
forma surpreendente no motu proprio e na carta de acompanhamento estão em
“gritante contraste” não apenas para o princípios norteadores do atual pontificado,
mas também na cara da reivindicação “conciliar” de “abertura à diversidade” e
rejeição de “uniformidade” litúrgica.

Nesta entrevista exclusiva, o Dom Athanasius Schneider, bispo auxiliar de Astana, no
Cazaquistão, discute suas principais preocupações sobre o documento, oferece
conselhos a seminaristas e jovens sacerdotes que temem poder ser proibidos de
celebrar a Missa tradicional, e aborda a afirmação do Papa Francisco de que seu curso
de ação escolhido é análogo ao tomado pelo Papa São Pio V.

Ele também defende os católicos que participam da Missa tradicional contra o que ele
vê como acusações injustas do documento de que eles semeiam divisão e negam o
Vaticano II. Uma “porção considerável” de jovens famílias católicas e outras pessoas
que frequentam a Missa tradicional “se mantém longe” das discussões sobre o
Vaticano II e política eclesial, o bispo sustenta. “Eles só querem adorar a Deus na
forma litúrgica pela qual Deus tocou e transformou seus corações e suas vidas.”
Dom Schneider também elogia seus irmãos no episcopado que têm apoiado os fiéis
em resposta às novas medidas, e diz que está convencido de que o novo decreto
acabará tendo um “efeito bumerangue.” O “crescimento contínuo” da Missa
tradicional em todo o mundo, diz ele, é “sem dúvida a obra do Espírito Santo, e um
verdadeiro sinal do nosso tempo.”

Ele, portanto, encoraja o Papa Francisco e os responsáveis por implementar as novas
medidas para atender ao “sábio conselho” de Gamaliel para aqueles que perseguiam
os primeiros Cristãos (Atos 5, 38-39), para que não se vejam “lutando contra Deus”.
Aqui está nossa entrevista completa com o Bispo Athanasius Schneider.

Dom Athanasius Schneider (+AS): Minha impressão inicial foi de um pastor que em
vez de sentir o cheiro de suas ovelhas, está raivosamente espancando-as com um
bastão.

DM: Quais são suas impressões gerais sobre o Motu Proprio e a Carta de
acompanhamento do Papa Francisco aos bispos do mundo, na qual ele explica
sua justificativa para restringir a Missa Tradicional Latina?

+AS: Em sua Exortação Apostólica programática, Evangelii Gaudium, o Papa

Francisco advoga por “certas atitudes que ajudam a acolher melhor o anúncio [do

Evangelho]: proximidade, abertura ao diálogo, paciência, acolhimento cordial que
não julga” (n. 165). Porém, ao ler o novo Motu Proprio e a Carta de
acompanhamento, tem-se a impressão oposta, ou seja, que o documento, como um
todo, exibe uma intolerância pastoral e até mesmo uma rigidez espiritual. O Motu
Proprio e a Carta que o acompanha comunicam um espírito de julgamento e de nãoacolhimento. No documento sobre Fraternidade Humana (assinado em Abu Dhabi em
4 de fevereiro de 2019), o Papa Francisco abraça o “diversidade de religiões”,
enquanto em seu novo Motu Proprio ele rejeita resolutamente a diversidade das
formas litúrgicas do Rito Romano.

“Que contraste flagrante de atitude
esse Motu Proprio apresenta, em
comparação com o princípio
orientador do pontificado do Papa
Francisco, i. e., inclusividade e um amor
preferencial pelas minorias e por aqueles
nas periferias da vida da Igreja.

Que contraste flagrante de atitude este Motu Proprio apresenta, em comparação com
o princípio orientador do pontificado do Papa Francisco, i. e., inclusividade e um
amor preferencial pelas minorias e aqueles na periferias da vida da Igreja. E que
atitude surpreendentemente fechada se descobre no Motu Proprio, em contraste com
as próprias palavras do Papa Francisco: “sabemos que nos vem, de vários lados, a
tentação de viver nesta lógica do privilégio que, ao separar, nos separa; ao excluir,
nos exclui; ao confinar os sonhos e a vida de muitos dos nossos irmãos, nos confina”
(Homilia nas Vésperas, 31 de dezembro de 2016). As novas normas do Motu Proprio

aviltam a forma milenar da lex orandi da Igreja Romana e, ao mesmo tempo,
“confinam os sonhos e as vidas de muitas” famílias Católicas, e especialmente de
pessoas jovens e jovens sacerdotes, cuja vida espiritual e amor à Cristo e à Igreja
cresceram e se beneficiaram muito com a forma tradicional da Santa Missa.

O Motu Proprio estabelece um princípio de uma rara exclusividade litúrgica, ao
afirmar que os novos livros litúrgicos promulgados são a expressão “unica” da lex
orandi do Rito Romano (Art. 1). Que contraste é, também, essa posição com essas
palavras do Papa Francisco: “É verdade! O Espírito Santo suscita os diversos
carismas na Igreja; à primeira vista, isto parece criar desordem, mas na realidade, sob
a sua guia, constitui uma imensa riqueza, porque o Espírito Santo é o Espírito de
unidade, que não significa uniformidade” (Homilia do Papa Francisco na Catedral
Católica do Espírito Santo, Istambul, sábado, 29 de novembro de 2014).

DM: Quais são suas maiores preocupações sobre o novo documento?

+AS: Como bispo, uma das minhas principais preocupações é que, em vez depromover uma maior unidade pela coexistência de diversas formas litúrgicasautênticas, o Motu Proprio cria uma sociedade de duas classes na Igreja, i. e.,

Católicos de primeira classe e Católicos de segunda classe. Os privilegiados de
primeira classe são aqueles que aderem à liturgia reformada, i. e., o Novus Ordo, e os
Católicos de segunda classe, que agora mal serão tolerados, incluem um grande
número de famílias Católicas, crianças, jovens e sacerdotes que, nas últimas décadas,
têm crescido na liturgia tradicional e experimentado, com grande benefício espiritual,
a realidade e o mistério da Igreja graças a esta forma litúrgica, que as gerações
anteriores consideravam sagrada e que formou tantos santos e Católicos notáveis ao
longo história.

“Um tesouro litúrgico quase milenar,
válido e altamente estimado, não é a
propriedade privada de um papa que
ele pode livremente descartar.

O Motu Proprio e a Carta de acompanhamento cometem uma injustiça contra todos
os católicos que aderem à forma litúrgica tradicional, por acusá-los de ser
divisionistas e de rejeitar o Concílio Vaticano Segundo. Na verdade, uma porção
considerável desses Católicos se mantém longe das discussões doutrinárias sobre o
Vaticano II, a nova Ordem da Missa (Novus Ordo Missae), e outros problemas
envolvendo política eclesiástica. Eles só querem adorar a Deus na forma litúrgica
através da qual Deus tocou e transformou seus corações e suas vidas. O argumento
invocado no Motu Proprio e na Carta de acompanhamento, i. e., que a forma litúrgica
tradicional cria divisão e ameaça a unidade da Igreja, é refutada pelos fatos. Além
disso, o tom depreciativo tomado nestes documentos contra a forma litúrgica
tradicional levaria qualquer observador imparcial a concluir que tais argumentos são
apenas um pretexto e um ardil, e que algo mais está em jogo aqui.

DM: Quão convincente é a comparação do Papa Francisco (em sua carta de
acompanhamento aos bispos) entre suas novas medidas e àquelas adotadas por
São Pio V em 1570?

+AS: O tempo do Concílio Vaticano II e da chamada Igreja “conciliar” tem se
caracterizado por uma abertura à diversidade e inclusão de espiritualidades e
expressões litúrgicas locais, acompanhada da rejeição do princípio de uniformidade
na praxis litúrgica da Igreja. Ao longo da história, a verdadeira atitude pastoral tem
sido a de tolerância e respeito para com a diversidade de formas litúrgicas, desde que
expressem a integridade da Fé Católica, a dignidade e a sacralidade das formas
rituais, e que elas produzam verdadeiros frutos espirituais na vida dos fiéis. No
passado, a Igreja Romana reconheceu a diversidade de expressões em sua lex
orandi. Na constituição apostólica que promulgou a Liturgia Tridentina, Quo
Primum (1570), o Papa Pio V, ao aprovar todas aquelas expressões litúrgicas da Igreja
Romana que tinham mais que duzentos anos, reconheceu-as como igualmente dignas
e como expressões legítimas da lex orandi da Igreja Romana. Nessa bula, o Papa Pio
V afirmou que de forma alguma anulava outras legítimas expressões litúrgicas dentro
da Igreja Romana. A forma litúrgica da Igreja Romana que era válida até a reforma
que fez Paulo VI não surgiu com Pio V, mas permaneceu substancialmente inalterada
mesmo séculos antes do Concílio de Trento. A primeira edição impressa do Missale
Romanum remonta a 1470, portanto, cem anos antes do missal publicado por Pio V. A
ordem da Missa de ambos missais é quase idêntica; a diferença está mais em
elementos secundários, como calendário, número de prefácios e rubricas mais
precisas.

O novo Motu Proprio do Papa Francisco também é profundamente preocupante na
medida em que manifesta uma atitude de discriminação contra uma forma litúrgica
quase milenar da Igreja Católica. A Igreja nunca rejeitou aquilo que, ao longo do
período de muitos séculos, expressou sacralidade, precisão doutrinária e riqueza
espiritual, e foi exaltado por muitos papas, grande teólogos (e. g., Santo Tomás de
Aquino) e vários santos. Os povos da Europa Ocidental e, em parte, da Europa
Oriental, do Norte e Sul da Europa, das Américas, África e Ásia foram evangelizados

e formados doutrinária e espiritualmente pelo Rito Romano tradicional, e esses povos
encontraram nesse rito seu lar espiritual e litúrgico. O Papa João Paulo II deu um
exemplo de uma sincera apreciação pela forma tradicional da Missa, quando disse:
“No Missal Romano, chamado ‘de São Pio V’, como em várias Liturgias Orientais,
existem belas orações com as quais o sacerdote expressa o mais profundo senso de
humildade e reverência diante dos santos mistérios: elas revelam a própria substância
de qualquer liturgia” (Mensagem aos Participantes da Assembleia Plenária da
Congregação para o Culto Divino e a Disciplina do Sacramentos, 21 de setembro de
2001).

“Seminaristas e jovens sacerdotes
devem solicitar o direito de usar esse
tesouro comum da Igreja, e se esse
direito lhes for negado, eles podem
usá-lo mesmo assim.

Iria contra o verdadeiro espírito da Igreja de todas as eras até agora expressar
desprezo por esta forma litúrgica, rotulá-la como “divisiva” e como algo perigoso
para a unidade da Igreja, e emitir normas destinadas a fazer com que essa forma
desapareça no tempo. As normas consagradas no Motu Proprio do Papa Francisco
procuram arrancar impiedosamente das almas e das vidas de tantos católicos a liturgia
tradicional, que é sagrada em si mesma, e representa a pátria espiritual desses
Católicos. Com este Motu Proprio, os Católicos que hoje foram espiritualmente
nutridos e formados pela liturgia tradicional da Santa Madre Igreja, deixarão de
experimentar a Igreja como mãe, mas sim como uma “madrasta”, de acordo com a
própria descrição do Papa Francisco: “Uma mãe que critica, que fala mal dos seus
filhos não é mãe! Penso que se diga «madrasta» [matrigna] em italiano… Não é
mãe.” (Discurso aos Homens e Mulheres Consagrados da Diocese de Roma, 16 de
maio de 2015).

DM: A carta apostólica do Papa Francisco foi emitida na festa de Nossa Senhora
do Monte Carmelo, padroeira das Carmelitas (como Santa Thérèse de Lisieux),
que rezam especialmente pelos sacerdotes. À luz das novas medidas, o que Vossa
Excelência Reverendíssima diria para os seminaristas diocesanos e os jovens
padres que esperavam celebrar a Missa Tradicional Latina?

+AS: O Cardeal Joseph Ratzinger falou sobre a limitação dos poderes do papa a
respeito da liturgia, com esta esclarecedora explicação: “O papa não é um monarca
absoluto cuja vontade é lei; ao contrário, ele é o guardião da Tradição autêntica e,
portanto, o primeiro fiador da obediência. Ele não pode fazer o que quer, e ele é assim
capaz de se opor àquelas pessoas que, por sua vez, querem fazer tudo o que vem à sua
cabeça. Seu governo não é o do poder arbitrário, mas o da obediência na fé. É por
isso que, no que diz respeito à Liturgia, ele tem a tarefa de um jardineiro, não a de um
técnico que constrói novas máquinas e joga as velhas na pilha de sucata. O ‘rito’,
aquela forma de celebração e oração que amadureceu na fé e na vida da Igreja, é uma
forma condensada da Tradição viva em que a esfera que usa aquele rito expressa toda
a sua fé e sua oração e, portanto, ao mesmo tempo, a comunhão de gerações uma com
a outra torna-se algo que podemos experimentar, comunhão com as pessoas que
rezaram antes de nós e rezarão depois de nós. Assim, o rito é algo de benéfico que é
dado à Igreja, uma forma viva de paradosis, a entrega da Tradição.” (Prefácio de “O
Desenvolvimento Orgânico da Liturgia. Os Princípios da Reforma Litúrgica e sua
Relação com o Movimento Litúrgico do século XX antes do Concílio Vaticano II”
por Dom Alcuin Reid, San Francisco, 2004).

“As normas consagradas no Motu
Proprio do Papa Francisco procuram
arrancar impiedosamente das almas
e das vidas de tantos católicos a liturgia
tradicional, que é sagrada em si mesma,
e representa a pátria espiritual desses
Católicos.

A Missa tradicional é um tesouro que pertence a toda a Igreja, uma vez que foi
celebrada e profundamente considerada e amada por sacerdotes e santos durante pelo
menos mil anos. Na verdade, a forma tradicional da Missa permaneceu quase idêntica
por séculos antes da publicação do Missal do Papa Pio V em 1570. Um tesouro
litúrgico quase milenar, válido e altamente estimado, não é a propriedade privada de
um papa que ele pode livremente descartar. Portanto, os seminaristas e os jovens
sacerdotes devem solicitar o direito de usar este tesouro comum da Igreja, e se esse
direito lhes for negado, eles podem usá-lo mesmo assim, talvez de uma maneira
clandestina. Isso não seria um ato de desobediência, mas antes de obediência à Santa
Madre Igreja, que nos deu este tesouro litúrgico. A firme rejeição de uma forma
litúrgica de quase mil anos pelo Papa Francisco representa, de fato, um fenômeno de
curta vida em comparação com o constante espírito e praxis da Igreja.

DM: Excelência, qual tem sido sua impressão até agora da implementação do
“Traditionis Custodes”?

+AS: Dentro de poucos dias, bispos diocesanos e até mesmo uma conferência
episcopal inteira já começaram uma supressão sistemática de qualquer celebração da
forma tradicional da Santa Missa. Estes novos “inquisidores da liturgia” têm
mostrado um clericalismo surpreendentemente rígido, semelhante ao descrito e
lamentado pelo Papa Francisco, quando ele disse: “Há aquele espírito de clericalismo
na Igreja, que se percebe: os clérigos sentem-se superiores, afastam-se das pessoas e
dizem sempre: ‘isto deve ser feito assim, assim; e vós, ide embora!’.” (Meditação
diária na Santa Missa de 13 de dezembro de 2016).

O anti-tradicional Motu Proprio do Papa Francisco compartilha algumas semelhanças
com as decisões litúrgicas fatídicas e extremamente rígidas feitas pela Igreja
Ortodoxa Russa sob o Patriarca Nikon de Moscou entre 1652 e 1666. Isso acabou
levando a um cisma duradouro conhecido como “Ritualistas Antigos” (em
russo: staroobryadtsy), que mantiveram as práticas litúrgicas e rituais da Igreja Russa
como eram antes das reformas do Patriarca Nikon. Resistindo à acomodação da
piedade Russa às formas contemporâneas de adoração Ortodoxa Grega, esses
Ritualistas Antigos foram anatematizados com seu ritual, no Sínodo de 1666-67,
produzindo uma divisão entre os Ritualistas Antigos e aqueles que seguiram a igreja
estatal em sua condenação do Rito Antigo. Hoje a Igreja Ortodoxa Russa lamenta as
decisões drásticas do Patriarca Nikon, pois se as normas que ele implementou fossem
verdadeiramente pastorais e permitissem o uso do antigo rito, não teria havido um
cisma de séculos, com muitos sofrimentos desnecessários e cruéis.

“O que se precisa urgentemente é um
Motu Proprio com normas estritas
suprimindo a prática das ditas
“Missas LGBT”, pois são um ultraje à
majestade divina.

Em nossos próprios dias, estamos testemunhando cada vez mais celebrações da Santa
Missa, que se tornou uma plataforma para promover o estilo de vida pecaminoso da
homossexualidade — as chamadas “Missas LGBT”, um expressão que em si já é uma
blasfêmia. Essas Missas são toleradas pela Santa Sé e por muitos bispos. O que se
precisa urgentemente é um Motu Proprio com normas estritas suprimindo a prática
das ditas “Missas LGBT”, pois são um ultraje à majestade divina, um escândalo para
os fiéis (os pequeninos), e uma injustiça para com os homossexuais sexualmente
ativos, que por tais celebrações são confirmadas em seus pecados, e cuja salvação
eterna está, portanto, sendo colocada em perigo.

DM: E mesmo assim vários bispos, particularmente nos Estados Unidos, mas
também em outros lugares, como na França, têm apoiado os fiéis de suas
dioceses que estão vinculados à Missa Tradicional Latina. O que V. Exa. Revma.
diria para encorajar esses vossos irmãos bispos? E que atitude devem os fiéis ter
para com seus bispos, muitos dos quais se surpreenderam com o documento?

+AS: Esses bispos têm demonstrado uma verdadeira atitude apostólica e pastoral,
como aqueles que são “pastores com o cheiro das ovelhas”. Eu poderia encorajar
esses e muitos outros bispos a continuar com tal nobre atitude pastoral. Que nem os
elogios nem o medo dos homens os movam, mas apenas a maior glória de Deus, e o
maior benefício espiritual das almas e sua salvação eterna. De sua parte, os fiéis
devem demonstrar para com esses bispos gratidão, respeito filial e amor.

“Com o tempo, uma cadeia mundial
de Missas nas catacumbas com
certeza surgirá, como acontece em
tempos de emergência e perseguição.

DM: Que efeito V. Exa. Revma. pensa que o Motu Proprio terá?

+AS: O novo Motu Proprio do Papa Francisco é, em última análise, uma vitória
pírrica e terá um efeito bumerangue. As muitas famílias Católicas e o número 1
sempre crescente de pessoas jovens e sacerdotes — particularmente jovens sacerdotes— que participam da Missa tradicional, não poderão permitir que suas consciências sejam violadas por um ato administrativo tão drástico. Dizendo a esses fiéis esacerdotes que eles devem simplesmente ser obedientes a essas normas acabará pornão funcionar com eles, porque eles entendem que um chamado à obediência perde Relativo a Pirro, rei de Epiro. É uma expressão utilizada para se referir a uma vitória obtida a alto preço, 1
potencialmente acarretadora de prejuízos irreparáveis. — N.T.
seu poder quando o objetivo é suprimir a forma tradicional da liturgia, o grande
tesouro litúrgico da Igreja Romana.

Com o tempo, uma cadeia mundial de Missas nas catacumbas com certeza surgirá,
como acontece em tempos de emergência e perseguição. Nós poderemos na verdade
testemunhar uma era de Missas tradicionais clandestinas, semelhantes a essa
impressionantemente retratada por Aloysius O’Kelly em sua pintura, “Missa em
Connemara (Irlanda) durante os Tempos Penais.”2

Ou talvez vivamos em um tempo semelhante ao descrito por São Basílio Magno,
quando os Católicos tradicionais foram perseguidos por um episcopado Ariano liberal
no século IV. São Basílio escreveu: “As bocas dos verdadeiros crentes são mudas,
enquanto toda língua blasfema balança livremente; coisas sagradas são pisoteadas; os
melhores leigos evitam as igrejas como escolas de impiedade; e levantam suas mãos
nos desertos com suspiros e lágrimas para seu Senhor no céu. Mesmo vocês devem
ter ouvido o que está acontecendo na maioria de nossas cidades, como nosso povo
com esposas e filhos e até mesmo nossos idosos correm diante das muralhas e

oferecem suas orações ao ar livre, suportando todos os inconvenientes do tempo com
muita paciência e esperando a ajuda do Senhor” (Carta 92).

A admirável, harmoniosa e bastante espontânea propagação e crescimento contínuo
da forma tradicional da Missa, em quase todos os países do mundo, mesmo nas terras
mais remotas, é sem dúvida obra do Espírito Santo e um verdadeiro sinal do nosso
tempo. Esta forma de celebração litúrgica produz verdadeiros frutos espirituais,
especialmente na vida dos jovens e dos convertidos à Igreja Católica, uma vez que
muitos destes foram atraídos à fé Católica precisamente pelo poder irradiante deste
tesouro da Igreja. O Papa Francisco e os outros bispos que executarão seu Motu
Proprio devem considerar seriamente o sábio conselho de Gamaliel, e se perguntarem
se eles realmente estão lutando contra uma obra de Deus: “E agora, portanto, eu vos
digo: deixe esses homens e permita-os; pois se esta intenção ou obra for de homens,
ela se dissolverá; mas se for de Deus, não poderão dissolvê-la. Quem sabe não se
encontrem lutando contra Deus!” (Atos 5, 38-39). Que o Papa Francisco reconsidere,
com vistas à eternidade, seu ato drástico e trágico, e corajosa e humildemente se
retrate deste novo Motu Proprio, relembrando suas próprias palavras: “Na realidade,
a Igreja mostra-se fiel ao Espírito Santo na medida em que põe de lado a pretensão de
O regular e domesticar.” (Homilia na Catedral Católica do Espírito Santo, Istambul,
sábado, 29 de novembro de 2014).

Por enquanto, muitas famílias Católicas, jovens e sacerdotes em todos os continentes,
estão agora chorando, pois o Papa — seu pai espiritual — privou-os do alimento
espiritual da Missa tradicional, que tanto fortaleceu sua fé e seu amor por Deus, pela
Santa Madre Igreja e pela Sé Apostólica. Eles podem, por um tempo, “ir caminhando
e chorando, portando suas sementes, mas na volta eles voltarão exultando portando
seus manípulos” (Salmo 126, 6).

Essas famílias, jovens e sacerdotes poderiam dirigir ao Papa Francisco estas ou outras
palavras semelhantes: “Santíssimo Padre, devolva-nos o grande tesouro litúrgico da
Igreja. Não nos trate como seus filhos de segunda classe. Não viole nossas
consciências nos forçando em uma forma litúrgica única e exclusiva, vós que sempre
proclamastes a todo o mundo a necessidade da diversidade, acompanhamento
pastoral e respeito à consciência. Não dê ouvidos àqueles representantes de um rígido
clericalismo que o aconselharam a realizar uma ação tão impiedosa. Seja um
verdadeiro pai de família, que ‘tira do seu tesouro coisas novas e coisas velhas’ (Mt
13, 52). Se ouvirdes a nossa voz, no dia de vosso julgamento diante de Deus, seremos
seus melhores intercessores.”

poland_icon
Polish

Biskup Athanasius Schneider: Motu Proprio wyraża ducha osądu i niechęci

Jakiż rażący kontrast poglądów prezentuje to Motu Proprio w porównaniu z naczelną zasadą pontyfikatu papieża Franciszka, to jest inkluzywnością i uprzywilejowaną miłością wobec mniejszości oraz tych, którzy znajdują się na peryferiach życia Kościoła – mówi ksiądz biskup Athanasius Schneider w rozmowie z Diane Montagna. Prezentujemy pełne polskie tłumaczenie wywiadu.

Ekscelencjo, nowy list apostolski papieża Franciszka motu proprio, wydany 16 lipca 2021 roku, nosi tytuł „Traditionis Custodes” (Strażnicy Tradycji). Jakie było pierwsze wrażenie Księdza Biskupa odnośnie do wyboru tego tytułu?

Moim pierwszym skojarzeniem był pasterz, który – zamiast dać się przeniknąć zapachem swoich owiec – ze złością tłucze je kijem.

Jakie ogólne wrażenia odnosi Ekscelencja z lektury Motu Proprio i z towarzyszącego mu Listu papieża Franciszka do biskupów świata, w którym wyjaśnia on swoje racje przemawiające za ograniczeniem tradycyjnej Mszy Świętej łacińskiej?

W swojej programowej adhortacji apostolskiej Evangelii Gaudium papież Franciszek wzywa do przyjęcia „pewnych postaw pomagających lepiej przyjąć orędzie: bliskość, otwarcie na dialog, cierpliwość, serdecznie przyjęcie, które nie potępia” (n. 165). Jednak czytając nowe Motu Proprio i towarzyszący mu List, można odnieść przeciwne wrażenie, a mianowicie, że dokument ten, rozpatrywany jako całość, cechuje się nietolerancją duszpasterską, a nawet duchową sztywnością. Motu Proprio i towarzyszący mu List wyrażają ducha osądu i niechęci. W dokumencie o ludzkim braterstwie (podpisanym w Abu Dhabi 4 lutego 2019 r.) papież Franciszek popiera „różnorodność religii”, natomiast w swoim nowym Motu Proprio zdecydowanie odrzuca on różnorodność form liturgicznych w Rycie Rzymskim.

Jakiż rażący kontrast poglądów prezentuje to Motu Proprio w porównaniu z naczelną zasadą pontyfikatu papieża Franciszka, tj. inkluzywnością i uprzywilejowaną miłością wobec mniejszości i tych, którzy znajdują się na peryferiach życia Kościoła. I jakże zdumiewająco ograniczone podejście odnajdujemy w Motu Proprio, podejście kontrastujące z własnymi słowami papieża Franciszka: „Wiemy, iż z różnych stron jesteśmy kuszeni, aby żyć według logiki przywileju, która nas dzieli-rozdzielając, która nas wyklucza-wykluczając, która nas zamyka-zamykając marzenia i życie wielu naszych braci” (homilia podczas nieszporów, 31 grudnia 2016 r.). Nowe normy Motu Proprio poniżają tysiącletnią formę lex orandi Kościoła rzymskiego, a jednocześnie zamykają „marzenia i życie [tak] wielu” rodzin katolickich, a zwłaszcza młodzieży i młodych kapłanów, których życie duchowe oraz miłość do Chrystusa i Kościoła wzrastały i czerpały wielkie korzyści z tradycyjnej formy Mszy Świętej.

Motu Proprio ustanawia zasadę rzadko spotykanej wyłączności liturgicznej, stwierdzając, że nowo promulgowane księgi liturgiczne są jedynym [unica] wyrazem lex orandi Rytu Rzymskiego (art. 1). Jakiż kontrast stanowi również to stanowisko z następującymi słowami papieża Franciszka: „To prawda, że Duch Święty rozbudza różne charyzmaty w Kościele. Pozornie zdaje się to tworzyć nieład, ale w istocie, pod Jego kierownictwem, stanowi ogromne bogactwo, ponieważ Duch Święty jest Duchem jedności, która nie oznacza jednolitości”(Homilia papieża Franciszka w katolickiej katedrze Ducha Świętego, Stambuł, 29 listopada 2014 r.).

Jakie są największe obawy Ekscelencji związane z nowym dokumentem?

Dla mnie, jako biskupa, jedną z głównych obaw jest to, że Motu Proprio, zamiast sprzyjać większej jedności poprzez współistnienie różnych autentycznych form liturgicznych, tworzy w Kościele społeczeństwo dwuklasowe, tzn. katolików pierwszej klasy i katolików drugiej klasy. Do uprzywilejowanej pierwszej klasy należą ci, którzy przywiązani są do zreformowanej liturgii, tzn. do Novus Ordo, a do drugiej klasy katolików, którzy teraz będą ledwie tolerowani, należy duża liczba katolickich rodzin, dzieci, młodzieży i kapłanów, którzy w ostatnich dziesięcioleciach wzrastali w tradycyjnej liturgii i doświadczyli, z wielką korzyścią duchową, rzeczywistości i tajemnicy Kościoła dzięki tej formie liturgicznej, którą wcześniejsze pokolenia uważały za świętą i która uformowała tak wielu świętych i wybitnych katolików na przestrzeni dziejów.

Motu Proprio i towarzyszący mu List dopuszczają się niesprawiedliwości wobec wszystkich katolików przywiązanych do tradycyjnej formy liturgicznej, oskarżając ich o tworzenie podziałów i odrzucanie Soboru Watykańskiego II. W rzeczywistości znaczna część tych katolików trzyma się z dala od dyskusji doktrynalnych dotyczących Vaticanum II, nowego porządku mszy (Novus Ordo Missae) i innych problemów związanych z polityką kościelną. Pragną oni po prostu wielbić Boga w formie liturgicznej, poprzez którą Bóg dotknął i przemienił ich serca i życie. Argument przywołany w Motu Proprio i w towarzyszącym mu Liście, jakoby tradycyjna forma liturgiczna wprowadzała podziały i zagrażała jedności Kościoła, nie znajduje potwierdzenia w faktach. Co więcej, lekceważący ton tych dokumentów, wymierzonych w tradycyjną formę liturgiczną, prowadzi każdego bezstronnego obserwatora do wniosku, że takie argumenty są tylko pretekstem i wybiegiem, i że gra toczy się o coś innego.

Czy Ekscelencja uważa za przekonujące przyrównanie przez papieża Franciszka (w liście do biskupów) jego nowych środków do tych, które zostały przyjęte w 1570 r. przez św. Piusa V?

Okres Soboru Watykańskiego II i tak zwanego Kościoła „posoborowego” charakteryzował się otwartością na różnorodność i inkluzywność duchowości i lokalnych form liturgicznych, przy jednoczesnym odrzuceniu zasady jednolitości w liturgicznej praktyce Kościoła. Na przestrzeni dziejów prawdziwa postawa duszpasterska wyrażała się w tolerancji i szacunku wobec różnorodności form liturgicznych, pod warunkiem, że wyrażają one integralność wiary katolickiej, godność i świętość form obrzędowych oraz że przynoszą prawdziwe owoce duchowe w życiu wiernych. W przeszłości Kościół rzymski uznawał w swoim lex orandi różnorodność form wyrazu. W konstytucji apostolskiej promulgującej liturgię trydencką Quo Primum (1570 r.), papież Pius V, zatwierdzając wszystkie te formy liturgiczne Kościoła rzymskiego, które liczyły ponad dwieście lat, uznał je za równie godny i prawowity wyraz lex orandi Kościoła rzymskiego. W bulli tej papież Pius V oświadczył, że w żaden sposób nie unieważnia innych prawowitych form liturgicznych w Kościele rzymskim. Forma liturgiczna Kościoła rzymskiego, która obowiązywała aż do reformy Pawła VI, nie powstała za czasów Piusa V, ale pozostawała zasadniczo niezmieniona jeszcze na wiele wieków przed Soborem Trydenckim. Pierwsze drukowane wydanie Missale Romanum ukazało się w 1470 r., a więc na sto lat przed mszałem wydanym przez Piusa V. Porządek mszy w obu mszałach jest niemal identyczny; różnica polega raczej na elementach drugorzędnych, takich jak kalendarz, liczba prefacji i bardziej precyzyjne normy rubryczne.

Nowe Motu Proprio papieża Franciszka budzi głęboki niepokój również dlatego, że wyraża postawę dyskryminacji wobec prawie tysiącletniej formy liturgicznej Kościoła katolickiego. Kościół nigdy nie odrzucał tego, co na przestrzeni wielu wieków wyrażało świętość, precyzję doktrynalną i bogactwo duchowe, a także było wysławiane przez wielu papieży, wielkich teologów (np. św. Tomasza z Akwinu) i licznych świętych. Narody Europy Zachodniej, a częściowo także Wschodniej, Północnej i Południowej, obu Ameryk, Afryki i Azji były ewangelizowane i formowane doktrynalnie i duchowo przez tradycyjny Ryt Rzymski, i w tym rycie odnalazły swoją duchową i liturgiczną ojczyznę. Papież Jan Paweł II dał przykład szczerego uznania wobec tradycyjnej formy Mszy Świętej, gdy powiedział: „W Mszale Rzymskim, zwanym ‘Mszałem św. Piusa V’, podobnie jak w różnych liturgiach wschodnich, znajdują się piękne modlitwy, którymi kapłan wyraża najgłębsze poczucie pokory i czci wobec świętych tajemnic: odsłaniają one samą istotę każdej liturgii” (Przesłanie do uczestników Zgromadzenia Plenarnego Kongregacji ds. Kultu Bożego i Dyscypliny Sakramentów, 21 września 2001 r.).

Wyrażanie dziś pogardy dla tej formy liturgicznej, piętnowanie jej jako „dzielącej” i zagrażającej jedności Kościoła oraz wydawanie norm mających na celu doprowadzenie do jej stopniowego zaniku byłoby sprzeczne z prawdziwym duchem Kościoła wszystkich wieków. Normy zawarte w Motu Proprio papieża Franciszka mają na celu niemiłosierne wydarcie z dusz i życia tak wielu katolików tradycyjnej liturgii, która sama w sobie jest święta i stanowi duchową ojczyznę tych katolików. Zgodnie z tym Motu Proprio, katolicy, którzy dzisiaj są duchowo karmieni i formowani przez tradycyjną liturgię Świętej Matki Kościoła, nie będą już postrzegać Kościoła jako matki, ale raczej jako „macochę”, co odpowiada opisowi samego papieża Franciszka: „Matka, która krytykuje, która źle mówi o swoich dzieciach, nie jest matką! Wydaje mi się, że po włosku mówi się „macocha”… Nie jest matką”

List apostolski papieża Franciszka został wydany w święto Matki Bożej z Góry Karmel, patronki członków zakonów karmelitańskich (takich jak św. Teresa z Lisieux), którzy w sposób szczególny modlą się kapłanów. W obliczu nowych środków, co Ksiądz Biskup powiedziałby seminarzystom diecezjalnym i młodym księżom, którzy mieli nadzieję na odprawianie tradycyjnej Mszy łacińskiej?

Kardynał Joseph Ratzinger mówił o granicach uprawnień papieża w odniesieniu do liturgii, wyjaśniając je w następujący, pouczający sposób: „Papież nie jest monarchą absolutnym, którego wola jest prawem; jest on raczej strażnikiem autentycznej Tradycji, a tym samym głównym gwarantem posłuszeństwa. Nie może robić tego, co mu się podoba, i dlatego jest w stanie przeciwstawić się ludziom, którzy sami chcą robić to, co tylko przyjdzie im do głowy. Jego panowanie nie jest władzą arbitralną, ale posłuszeństwem w wierze. Dlatego w odniesieniu do Liturgii ma on zadanie ogrodnika, a nie technika, który buduje nowe maszyny, a stare wyrzuca na śmietnik. „Ryt”, ta forma celebracji i modlitwy, która dojrzała w wierze i życiu Kościoła, jest skondensowaną formą żywej Tradycji, w której środowisko posługujące się tym rytem wyraża całą swoją wiarę i swoją modlitwę, a tym samym wspólnota jednych pokoleń z drugimi staje się czymś, czego możemy doświadczyć, wspólnota z ludźmi, którzy modlą się przed nami i po nas. W ten sposób ryt jest czymś pożytecznym, danym Kościołowi, żywą formą paradosis, przekazywania Tradycji” (Przedmowa do: „The Organic Development of the Liturgy. The Principles of Liturgical Reform and Their Relation to the Twentieth-century Liturgical Movement Prior to the Second Vatican Council”, Dom Alcuin Reid, San Francisco 2004).

Tradycyjna Msza Święta jest skarbem należącym do całego Kościoła, ponieważ jest ona celebrowana, głęboko poważana i miłowana przez kapłanów i świętych od co najmniej tysiąca lat. W istocie tradycyjna forma Mszy była niemal identyczna na wieki przed opublikowaniem Mszału papieża Piusa V w 1570 roku. Prawie tysiącletni ważny i wysoce ceniony skarb liturgiczny nie jest prywatną własnością papieża, którą może on dowolnie dysponować. Dlatego seminarzyści i młodzi kapłani muszą prosić o prawo do korzystania z tego wspólnego skarbu Kościoła, a gdyby odmówiono im tego prawa, mogą z niego korzystać mimo wszystko, być może w sposób potajemny. Nie byłoby to aktem nieposłuszeństwa, ale raczej posłuszeństwa wobec Świętej Matki Kościoła, która dała nam ten skarb liturgiczny. Stanowcze odrzucenie przez papieża Franciszka prawie tysiącletniej formy liturgicznej jest w rzeczywistości zjawiskiem krótkotrwałym w porównaniu z niezmiennym duchem i praxis Kościoła.

Ekscelencjo, jakie są dotychczasowe wrażenia Księdza Biskupa w kwestii wdrażania „Traditionis Custodes”?

W ciągu kilku krótkich dni, biskupi diecezjalni, a nawet jedna konferencja biskupów, rozpoczęli już systematyczne tępienie wszelkich celebracji tradycyjnej formy Mszy Świętej. Ci nowi „inkwizytorzy liturgiczni” wykazali się zadziwiająco sztywnym klerykalizmem, podobnym do tego, który opisał i nad którym ubolewał papież Franciszek, mówiąc: „Jest ten duch klerykalizmu w Kościele, którego się czuje: duchowni czują się wyżsi, duchowni oddalają się od ludzi, duchowni zawsze mówią: ‘to robi się tak, tak i tak, a wy idźcie sobie!”

Antytradycyjne Motu Proprio papieża Franciszka wykazuje pewne podobieństwa do fatalnych i niezwykle sztywnych decyzji liturgicznych podjętych przez Rosyjską Cerkiew Prawosławną za czasów patriarchy moskiewskiego Nikona w latach 1652-1666. Doprowadziło to w końcu do trwałej schizmy środowisk znanych jako „staroobrzędowcy” (po rosyjsku: старообрядцы), którzy zachowali liturgiczne i obrzędowe praktyki Kościoła rosyjskiego w formie sprzed reform patriarchy Nikona. Sprzeciwiając się dostosowaniu pobożności rosyjskiej do współczesnych form kultu grecko-prawosławnego, staroobrzędowcy, wraz ze swoim rytuałem, zostali obłożeni anatemą na synodzie w latach 1666-67, co doprowadziło do podziału na staroobrzędowców i tych, którzy poparli potępienie starego obrządku przez Kościół państwowy. Dziś Cerkiew rosyjsko-prawosławna żałuje drastycznych decyzji patriarchy Nikona, albowiem gdyby wprowadzone przez niego normy były prawdziwie duszpasterskie i pozwalały na używanie starego obrządku, nie doszłoby do wielowiekowej schizmy, okupionej wieloma niepotrzebnymi i okrutnymi cierpieniami.

W naszych czasach jesteśmy świadkami coraz liczniejszych celebracji Mszy Świętej, które stały się platformą promowania grzesznego stylu życia, jakim jest homoseksualizm – są to tak zwane „Msze LGBT”, co samo w sobie jest już bluźnierstwem. Takie Msze są tolerowane przez Stolicę Apostolską i wielu biskupów. Pilnie potrzebne jest Motu Proprio zawierające surowe normy zakazujące praktykowania takich „Mszy LGBT”, ponieważ są one obrazą Bożego majestatu, zgorszeniem dla wiernych (maluczkich) i niesprawiedliwością wobec aktywnych seksualnie osób homoseksualnych, które przez takie celebracje są utwierdzane w swoich grzechach, przez co zagrożone jest ich wieczne zbawienie.

A mimo to wielu biskupów, zwłaszcza w Stanach Zjednoczonych, ale także gdzie indziej, np. we Francji, wspiera wiernych swojej diecezji, przywiązanych do tradycyjnej Mszy Świętej. Co Ekscelencja chciałby powiedzieć, aby zachęcić swoich braci biskupów? I jaki stosunek powinni mieć wierni do swoich biskupów, wielu spośród których było zaskoczonych tym dokumentem?

Biskupi ci wykazali się prawdziwą postawą apostolską i pasterską, jako ci, którzy są „pasterzami o zapachu owiec”. Chciałbym zachęcić tych i wielu innych biskupów do kontynuowania tak szlachetnej postawy duszpasterskiej. Niech nie wzruszają ich ani pochwały ludzkie, ani strach przed ludźmi, lecz jedynie większa chwała Boża, większy pożytek duchowy dusz i ich wieczne zbawienie. Wierni ze swej strony powinni okazywać tym biskupom wdzięczność oraz synowski szacunek i miłość.

Jak Ekscelencja sądzi, jaki skutek odniesie Motu Proprio?

Nowe Motu Proprio papieża Franciszka jest w ostatecznym rozrachunku pyrrusowym zwycięstwem i wywoła efekt bumerangu. Liczne rodziny katolickie i stale rosnąca liczba młodych ludzi i księży – szczególnie młodych księży – którzy uczestniczą w tradycyjnej Mszy, nie pozwolą, aby ich sumienie zostało pogwałcone za sprawą tak drastycznego aktu administracyjnego. Wmawianie tym wiernym i księżom, że muszą być po prostu posłuszni tym normom, w ostatecznym rozrachunku nie odniesie skutku, ponieważ rozumieją oni, że wezwanie do posłuszeństwa traci swoją moc, gdy celem jest wyparcie tradycyjnej formy liturgii, wielkiego skarbu liturgicznego Kościoła rzymskiego.

Z czasem z pewnością powstanie światowa sieć katakumbowych mszy, jak ma to miejsce w czasach zagrożenia i prześladowań. Może faktycznie będziemy świadkami ery potajemnych tradycyjnych Mszy Świętych, podobnych do tych, które tak imponująco przedstawił Aloysius O’Kelly w swoim obrazie „Msza w Connemara (Irlandia) w czasach karnych”. A może będziemy żyć w czasach podobnych do tych opisanych przez św. Bazylego Wielkiego, kiedy tradycyjni katolicy byli prześladowani przez liberalny episkopat ariański w IV wieku. Św. Bazyli pisał: „Usta prawdziwych wierzących są nieme, podczas gdy każdy bluźnierczy język miele swobodnie; święte rzeczy są tratowane pod stopami; lepsi świeccy stronią od kościołów jako od szkół bezbożności; a na pustyni wznoszą ręce wzdychając i płacząc do swego Pana w niebie. Zapewne słyszałeś, co się dzieje w większości naszych miast, jak nasi ludzie z żonami i dziećmi, a nawet starcy, wychodzą przed mury i modlą się pod gołym niebem, znosząc z wielką cierpliwością wszelką niepogodę i oczekując pomocy od Pana” (List 92).

Budzące podziw, harmonijne i całkiem spontaniczne rozprzestrzenianie się i ciągły wzrost tradycyjnej formy Mszy Świętej w prawie wszystkich krajach świata, nawet w najbardziej odległych krainach, jest niewątpliwie dziełem Ducha Świętego i prawdziwym znakiem naszych czasów. Ta forma celebracji liturgicznej przynosi prawdziwe owoce duchowe, zwłaszcza w życiu młodzieży i osób nawróconych do Kościoła katolickiego, ponieważ wielu z nich zostało przyciągniętych do wiary katolickiej właśnie dzięki promieniującej mocy tego skarbu Kościoła. Papież Franciszek i inni biskupi, którzy będą wdrażać jego Motu Proprio, powinni uważnie rozważyć mądrą radę Gamaliela i zadać sobie pytanie, czy przypadkiem nie walczą z dziełem Bożym: „Więc i teraz wam mówię: Odstąpcie od tych ludzi i puśćcie ich! Jeżeli bowiem od ludzi pochodzi ta myśl czy sprawa, rozpadnie się, a jeżeli rzeczywiście od Boga pochodzi, nie potraficie ich zniszczyć i może się czasem okazać, że walczycie z Bogiem” (Dz 5, 38-39). Oby papież Franciszek, zważywszy na wieczność, ponownie przemyślał swój drastyczny i tragiczny akt; oby mężnie i pokornie wycofał to nowe Motu Proprio, pomny na swoje własne słowa: „W rzeczywistości Kościół okazuje się wiernym Duchowi Świętemu, na tyle, na ile nie usiłuje Go uregulować i oswoić” (Homilia w Katolickiej Katedrze Ducha Świętego, Stambuł, 29 listopada 2014 r.)

Tymczasem wiele katolickich rodzin, młodych ludzi i kapłanów na wszystkich kontynentach płacze, ponieważ Papież – ich duchowy ojciec – pozbawił ich duchowego pokarmu tradycyjnej Mszy Świętej, która tak bardzo umacniała ich wiarę i miłość do Boga, do Świętej Matki Kościoła i do Stolicy Apostolskiej. Być może przez pewien czas będą oni „Postęp[ować] naprzód wśród płaczu,
niosąc ziarno na zasiew: Z powrotem przy[jdą] wśród radości, przynosząc swoje snopy” (Ps 126, 6).

Owe rodziny, młodzi ludzie i kapłani mogliby skierować do papieża Franciszka takie lub podobne słowa: „Najświętszy Ojcze, oddaj nam ten wielki skarb liturgiczny Kościoła. Nie traktuj nas jak swoich dzieci drugiej kategorii. Ty, który zawsze głosiłeś całemu światu konieczność różnorodności, duszpasterskiego towarzyszenia i szacunku dla sumienia, nie gwałć naszych sumień, zmuszając nas do jednej i wyłącznej formy liturgicznej. Nie słuchaj tych przedstawicieli sztywnego klerykalizmu, którzy radzili ci, abyś dokonał tak niemiłosiernego czynu. Bądź prawdziwym ojcem rodziny, który „ze swego skarbca wydobywa rzeczy nowe i stare” (Mt 13, 52). Jeśli wysłuchasz naszego głosu, w dniu twego sądu przed Bogiem będziemy twoimi największymi orędownikami”.

italy
Italian

Vescovo Schneider: “Traditionis custodes una vittoria di Pirro. Avrà un effetto boomerang”

La tradizione tradita. Intervista al vescovo Schneider su Traditionis custodes

di Diane Montagna

Nella sua prima intervista dall’uscita del nuovo decreto di papa Francesco Traditionis custodes, che limita la Messa vetus ordo, il vescovo Athanasius Schneider afferma che il documento “svilisce” una liturgia millenaria di rito romano, commette un'”ingiustizia ” contro i cattolici che vi aderiscono e crea nella Chiesa una “società di due classi”.

“I privilegiati di prima classe sono coloro che aderiscono alla liturgia riformata -spiega monsignor Schneider – e i cattolici di seconda classe, che ora saranno a malapena tollerati, comprendono un gran numero di famiglie, bambini, giovani e sacerdoti” che, attraverso la liturgia tradizionale, hanno “sperimentato con grande beneficio spirituale la realtà e il mistero della Chiesa”.

Il vescovo sostiene inoltre che l'”atteggiamento sorprendentemente gretto” e il “tono sprezzante” mostrati nel motu proprio e nella lettera di accompagnamento sono in “chiaro contrasto” non solo con i principi guida dell’attuale pontificato, ma anche con la pretesa “conciliare” di “apertura alla diversità” e di rifiuto dell’“uniformità” liturgica.

In questa intervista esclusiva, il vescovo Athanasius Schneider, ausiliare di Astana in Kazakistan, espone le sue principali preoccupazioni riguardo al documento, offre consigli ai seminaristi e ai giovani sacerdoti che temono che possa essere loro proibito celebrare la messa tradizionale, e affronta l’affermazione di papa Francesco secondo cui la linea di condotta scelta è analoga a quella intrapresa da papa san Pio V.

Schneider inoltre difende i cattolici che partecipano alla messa tradizionale da quelle che considera le ingiuste accuse, contenute nel documento, di seminare divisione e negare il Vaticano II. In realtà una “porzione considerevole” di giovani famiglie cattoliche e di altre persone che partecipano alla messa tradizionale “si tiene lontana” dalle discussioni sul Vaticano II e sulla politica ecclesiale. “Vogliono solo adorare Dio nella forma liturgica attraverso la quale Dio ha toccato e trasformato i loro cuori e le loro vite”.

Monsignor Schneider loda i suoi fratelli nell’episcopato che hanno sostenuto i fedeli in risposta alle nuove misure e si dice convinto che il nuovo decreto alla fine avrà un “effetto boomerang”. La “crescita continua” della messa tradizionale in tutto il mondo è “senza dubbio opera dello Spirito Santo e un vero segno del nostro tempo”.

Pertanto, incoraggia papa Francesco e coloro che sono incaricati di attuare le nuove misure ad ascoltare il “saggio consiglio” rivolto da Gamaliele a quelli che perseguitavano i primi cristiani (At 5,38-39), affinché non si trovino “contro Dio”.

Ecco l’intervista completa al vescovo Athanasius Schneider.

*

Eccellenza, la nuova lettera apostolica di papa Francesco, emessa motu proprio il 16 luglio 2021, si chiama Traditionis custodes (Custodi della Tradizione). Qual è stata la tua prima impressione sulla scelta di questo titolo?

Monsignor Schneider – La mia prima impressione è stata di un pastore che invece di sentire l’odore delle sue pecore le picchia con rabbia con un bastone.

Quali sono le sue impressioni generali sul motu proprio e sulla lettera di accompagnamento di papa Francesco ai vescovi del mondo, in cui spiega la sua logica per limitare la Messa tradizionale in latino?

Nella sua esortazione apostolica programmatica, Evangelii gaudium, papa Francesco propugna “certi atteggiamenti che favoriscono l’apertura al messaggio: disponibilità, disponibilità al dialogo, pazienza, calore e accoglienza non giudicanti” (n. 165). Eppure, leggendo il nuovo motu proprio e la lettera di accompagnamento, si ha l’impressione opposta, cioè che il documento, nel suo insieme, mostri un’intolleranza pastorale e anche una rigidità spirituale. Il motu proprio e la Lettera di accompagnamento comunicano uno spirito giudicante e poco accogliente. Nel documento sulla Fratellanza umana (firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019), papa Francesco abbraccia la “diversità delle religioni”, mentre nel suo nuovo motu proprio rifiuta con decisione la diversità delle forme liturgiche nel rito romano.

Quale lampante contrasto di atteggiamento presenta questo motu proprio, rispetto al principio guida del pontificato di papa Francesco, cioè l’inclusione e l’amore preferenziale per le minoranze e le periferie nella vita della Chiesa! E quale posizione sorprendentemente ristretta si scopre in esso, in contrasto con le stesse parole di papa Francesco: “Sappiamo di essere tentati in vari modi di adottare la logica del privilegio che ci separa, ci esclude e ci chiude, mentre ci separa, escludendo e chiudendo i sogni e le vite di tanti nostri fratelli e sorelle” (Omelia, Vespri, 31 dicembre 2016). Le nuove norme del motu proprio sviliscono la forma millenaria della lex orandi della Chiesa romana e, allo stesso tempo, chiudono “i sogni e le vite di tante” famiglie cattoliche, e specialmente di giovani e giovani sacerdoti, la cui vita spirituale e il cui amore per Cristo e per la Chiesa sono cresciuti e hanno grandemente beneficiato della forma tradizionale della Santa Messa.

Il motu proprio stabilisce un principio di rara esclusività liturgica, affermando che i nuovi libri liturgici promulgati sono l’unica [only] espressione della lex orandi del rito romano (art. 1). Che contrasto anche in questa posizione con altre parole di papa Francesco: “È vero che lo Spirito Santo fa emergere nella Chiesa diversi carismi, che a prima vista possono sembrare creare disordine. Sotto la sua guida, però, costituiscono un’immensa ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non è la stessa cosa dell’uniformità” (Omelia nella cattedrale cattolica dello Spirito Santo, Istanbul, sabato, 29 novembre 2014).

Quali sono le sue maggiori preoccupazioni riguardo al nuovo documento?

Come vescovo, una delle mie principali preoccupazioni è che, invece di favorire una maggiore unità mediante la coesistenza di diverse forme liturgiche autentiche, il motu proprio crei nella Chiesa una società a due classi, cioè cattolici di prima classe e cattolici di seconda classe. I privilegiati di prima classe sono coloro che aderiscono alla liturgia riformata, cioè il novus ordo , e i cattolici di seconda classe, che ora saranno a malapena tollerati, comprendono un gran numero di famiglie cattoliche, bambini, giovani e sacerdoti che, negli ultimi decenni, sono cresciuti nella liturgia tradizionale e hanno sperimentato, con grande beneficio spirituale, la realtà e il mistero della Chiesa grazie a questa forma liturgica, che le generazioni precedenti consideravano sacra e che ha formato tanti santi e cattolici eccezionali nel corso della storia.

Il motu proprio e la lettera di accompagnamento commettono un’ingiustizia contro tutti i cattolici che aderiscono alla forma liturgica tradizionale, accusandoli di dividere e di respingere il Concilio Vaticano II. Infatti, una parte considerevole di questi cattolici si tiene lontana dalle discussioni dottrinali riguardanti il ​​Vaticano II, il nuovo Ordine della Messa (Novus Ordo Missae), e altri problemi che riguardano la politica ecclesiastica. Vogliono solo adorare Dio nella forma liturgica attraverso la quale Dio ha toccato e trasformato i loro cuori e le loro vite. L’argomento invocato nel motu proprio e nella lettera di accompagnamento, cioè che la forma liturgica tradizionale crea divisione e minaccia l’unità della Chiesa, è smentito dai fatti. Inoltre, il tono dispregiativo assunto in questi documenti nei confronti della forma liturgica tradizionale porterebbe qualsiasi osservatore imparziale a concludere che tali argomenti sono solo un pretesto e uno stratagemma, e che qui è in gioco qualcos’altro.

Quanto le sembra convincente il confronto di papa Francesco (nella lettera di accompagnamento ai vescovi) tra i suoi nuovi provvedimenti e quelli adottati da san Pio V nel 1570?

Il tempo del Concilio Vaticano II e della Chiesa cosiddetta “conciliare” è stato caratterizzato da un’apertura alla diversità e inclusività delle spiritualità e delle espressioni liturgiche locali, insieme al rifiuto del principio di uniformità nella prassi liturgica della Chiesa. Nel corso della storia, il vero atteggiamento pastorale è stato di tolleranza e rispetto verso una molteplicità di forme liturgiche, purché esprimano l’integrità della fede cattolica, la dignità e la sacralità delle forme rituali e portino un vero frutto spirituale nella vita dei fedeli. In passato, la Chiesa romana ha riconosciuto la diversità delle espressioni nella sua lex orandi. Nella costituzione apostolica che promulga la liturgia tridentina, Quo primum (1570), papa Pio V, nell’approvare tutte quelle espressioni liturgiche della Chiesa romana che avevano più di duecento anni, le riconobbe come espressione altrettanto degna e legittima della lex orandi della Chiesa romana. In questa bolla papa Pio V afferma di non revocare in alcun modo altre legittime espressioni liturgiche all’interno della Chiesa romana. La forma liturgica della Chiesa romana, valida fino alla riforma di Paolo VI, non sorse con Pio V, ma rimase sostanzialmente immutata anche secoli prima del Concilio di Trento. La prima edizione a stampa del Missale Romanum risale al 1470, quindi cento anni prima del messale pubblicato da Pio V. L’ordine della messa di entrambi i messali è pressoché identico; la differenza sta più negli elementi secondari, come il calendario, il numero di prefazioni e le norme rubricali più precise.

Il nuovo motu proprio di papa Francesco suscita profonda preoccupazione in quanto manifesta un atteggiamento di discriminazione nei confronti di una forma liturgica della Chiesa cattolica quasi millenaria. La Chiesa non ha mai rifiutato ciò che, nell’arco di molti secoli, ha espresso sacralità, rigore dottrinale e ricchezza spirituale, ed è stato esaltato da tanti papi, grandi teologi (per esempio san Tommaso d’Aquino) e numerosi santi. I popoli dell’Europa occidentale e, in parte, dell’Europa orientale, dell’Europa settentrionale e meridionale, delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia furono evangelizzati e formati dottrinalmente e spiritualmente dal rito romano tradizionale, e vi trovarono la loro spiritualità e la loro casa liturgica. Papa Giovanni Paolo II ha dato un esempio di sincero apprezzamento della forma tradizionale della Messa, quando ha detto: “Nel Messale Romano, detto ‘di San Pio V’, come in varie liturgie orientali, ci sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza davanti ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di ogni liturgia” (Messaggio ai partecipanti all’Assemblea plenaria della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, 21 settembre 2001).

Sarebbe contrario al vero spirito della Chiesa di tutti i tempi esprimere oggi disprezzo per questa forma liturgica, etichettarla come “divisiva” e pericolosa per l’unità della Chiesa, ed emanare norme volte a farla scomparire. Le norme contenute nel motu proprio di papa Francesco cercano di strappare senza pietà dalle anime e dalle vite di tanti cattolici la liturgia tradizionale, che di per sé è santa e rappresenta la patria spirituale di questi cattolici. Con questo motu proprio, i cattolici che oggi sono stati spiritualmente nutriti e formati dalla liturgia tradizionale della Santa Madre Chiesa non sperimenteranno più la Chiesa come una madre, ma piuttosto come una “matrigna”, coerentemente con la stessa descrizione di papa Francesco: “Una madre che critica, che parla male dei suoi figli non è madre!” (Discorso ai consacrati e alle consacrate della diocesi di Roma, 16 maggio 2015).

La lettera apostolica di papa Francesco è stata pubblicata nella festa di Nostra Signora del Monte Carmelo, patrona dei Carmelitani (come Santa Teresa di Lisieux), che pregano specialmente per i sacerdoti. Alla luce dei nuovi provvedimenti, cosa direbbe ai seminaristi diocesani e ai giovani sacerdoti che speravano di celebrare la Messa tradizionale in latino?

Il cardinale Joseph Ratzinger ha parlato della limitazione dei poteri del papa riguardo alla liturgia, con questa illuminante spiegazione: “Il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge; è piuttosto il custode della Tradizione autentica e, quindi, il primo garante dell’obbedienza. Non può fare ciò che vuole, ed è così in grado di opporsi a coloro che, dal canto loro, vogliono fare qualunque cosa gli venga in mente. La sua regola non è quella del potere arbitrario, ma quella dell’obbedienza nella fede. Ecco perché, rispetto alla Liturgia, ha il compito di giardiniere, non quello di tecnico che costruisce macchine nuove e butta quelle vecchie nel mucchio delle cianfrusaglie. Il ‘rito’, quella forma di celebrazione e di preghiera maturata nella fede e nella vita della Chiesa, è una forma condensata di Tradizione vivente in cui l’ambito che utilizza quel rito esprime tutta la sua fede e la sua preghiera, e così allo stesso tempo la comunione delle generazioni le une con le altre diventa qualcosa che possiamo sperimentare, la comunione con le persone che pregano davanti noi e dopo di noi. Il rito è dunque un bene che si dona alla Chiesa, una forma viva di paradosi, la trasmissione della Tradizione” (prefazione a: Dom Alcuin Reid, Lo sviluppo organico della liturgia. I principi della riforma liturgica e il loro rapporto con il movimento liturgico del XX secolo prima del Concilio Vaticano II, San Francisco 2004).

La Messa tradizionale è un tesoro che appartiene a tutta la Chiesa, poiché da almeno mille anni è celebrata e tenuta in grande considerazione e amata da sacerdoti e santi. Infatti, la forma tradizionale della Messa era pressoché identica per secoli prima della pubblicazione del Messale di papa Pio V nel 1570. Un tesoro liturgico valido e stimatissimo da quasi mille anni non è proprietà privata di un papa, di cui egli possa disporre liberamente. Pertanto, seminaristi e giovani sacerdoti devono chiedere il diritto di utilizzare questo comune tesoro della Chiesa, e se questo diritto viene loro negato, possono comunque utilizzarlo, magari in maniera clandestina. Questo non sarebbe un atto di disobbedienza, ma piuttosto di obbedienza alla Santa Madre Chiesa, che ci ha donato questo tesoro liturgico.

Eccellenza, qual è stata la sua impressione finora circa l’attuazione della Traditionis custodes?

Nel giro di pochi giorni, i vescovi diocesani e persino un’intera Conferenza episcopale hanno già avviato una sistematica soppressione di ogni celebrazione della forma tradizionale della Santa Messa. Questi nuovi “inquisitori liturgici” hanno mostrato un clericalismo sorprendentemente rigido, simile a quello descritto e lamentato da papa Francesco, quando diceva: “C’è quello spirito di clericalismo nella Chiesa, che si sente: i chierici si sentono superiori, i chierici si allontanano dal popolo, i chierici dicono sempre: questo si fa così, così, così, o te ne vai!” (meditazione quotidiana nella Santa Messa, 13 dicembre 2016).

Il motu proprio anti-tradizionale di papa Francesco assomiglia per certi versi alle decisioni liturgiche fatali ed estremamente rigide prese dalla Chiesa russo-ortodossa sotto il patriarca Nikon di Mosca tra il 1652 e il 1666. Ciò alla fine portò a uno scisma duraturo noto come quello dei “vecchi ritualisti” (in russo: staroobryadtsy), che ha mantenuto le pratiche liturgiche e rituali della Chiesa russa come erano prima delle riforme del patriarca Nikon. Resistendo all’accomodamento della pietà russa alle forme contemporanee del culto greco-ortodosso, questi antichi ritualisti furono anatematizzati, insieme al loro rituale, in un sinodo del 1666-67, producendo una divisione tra gli antichi ritualisti e coloro che seguirono la Chiesa di Stato nella sua condanna dell’antico rito. Oggi la Chiesa russo-ortodossa si rammarica delle drastiche decisioni del patriarca Nikon, perché se le norme da lui attuate fossero state veramente pastorali e avessero consentito l’uso del vecchio rito, non ci sarebbe stato uno scisma secolare, con tante sofferenze inutili e crudeli .

Ai nostri giorni assistiamo a sempre più celebrazioni della Santa Messa che sono diventate una piattaforma per promuovere lo stile di vita peccaminoso dell’omosessualità, le cosiddette “Messe Lgbt”, un’espressione che di per sé è già una bestemmia. Tali messe sono tollerate dalla Santa Sede e da molti vescovi. Serve urgentemente un motu proprio con norme ferree che sopprimano la pratica di tali “Messe Lgbt”, poiché sono un oltraggio alla maestà divina, uno scandalo per i fedeli (i piccoli) e un’ingiustizia nei confronti degli omosessuali sessualmente attivi. Persone che con tali celebrazioni sono confermate nei loro peccati, e la cui salvezza eterna è così messa in pericolo.

Eppure, alcuni vescovi, in particolare negli Stati Uniti ma anche altrove, come in Francia, hanno sostenuto i fedeli della loro diocesi che sono legati alla Messa tradizionale. Cosa direbbe per incoraggiare questi suoi fratelli vescovi? E che atteggiamento dovrebbero avere i fedeli nei confronti dei loro vescovi, molti dei quali sono rimasti essi stessi sorpresi dal documento?

Questi vescovi hanno mostrato un vero atteggiamento apostolico e pastorale, come quelli che sono “pastori con l’odore delle pecore”. Incoraggio questi e molti altri vescovi a continuare con un atteggiamento pastorale così nobile. Non li muovano né le lodi degli uomini né il timore degli uomini, ma solo la maggior gloria di Dio, il maggior beneficio spirituale delle anime e la loro salvezza eterna. Da parte loro, i fedeli devono dimostrare nei confronti di questi vescovi gratitudine, rispetto e amore filiale.

Quale effetto avrà, secondo lei, il motu proprio?

Il nuovo motu proprio di papa Francesco è in definitiva una vittoria di Pirro e avrà un effetto boomerang. Le tante famiglie cattoliche e il numero sempre crescente di giovani e sacerdoti, in particolare giovani sacerdoti, che assistono alla Messa tradizionale, non potranno permettere che la loro coscienza venga violata da un atto amministrativo così drastico. Dire a questi fedeli e sacerdoti che devono semplicemente essere obbedienti a queste norme alla fine non funzionerà, perché essi sanno bene che una chiamata all’obbedienza perde il suo potere quando lo scopo è sopprimere la forma tradizionale della liturgia, il grande tesoro liturgico della Chiesa romana.

Col tempo, sorgerà sicuramente una catena mondiale di messe catacombali, come accade in tutti i tempi di emergenza e persecuzione. Potremmo infatti assistere a un’era di messe tradizionali clandestine, simile a quella rappresentata in modo così impressionante da Aloysius O’Kelly nel suo dipinto Mass in a Connemara Cabin.

O forse vivremo un tempo simile a quello descritto da san Basilio Magno, quando i cattolici tradizionali furono perseguitati da un episcopato liberale ariano nel IV secolo. Scriveva san Basilio: “La bocca dei veri credenti è muta, mentre ogni lingua blasfema si agita liberamente; le cose sante sono calpestate; i migliori laici evitano le chiese come scuole di empietà; e alzano le mani nei deserti con sospiri e lacrime al loro Signore nei cieli. Anche tu devi aver sentito cosa sta succedendo nella maggior parte delle nostre città (Lettera 92).

La mirabile, armonica e del tutto spontanea diffusione e continua crescita della forma tradizionale della Messa, in quasi tutti i paesi del mondo, anche nelle terre più remote, è senza dubbio opera dello Spirito Santo, e un vero segno del nostro tempo. Questa forma della celebrazione liturgica porta veri frutti spirituali, specialmente nella vita dei giovani e dei convertiti alla Chiesa cattolica, poiché molti di loro sono stati attratti alla fede cattolica proprio dalla forza irradiante di questo tesoro della Chiesa. Papa Francesco e gli altri vescovi che eseguiranno il suo motu proprio dovrebbero considerare seriamente il saggio consiglio di Gamaliele, e chiedersi se effettivamente stiano combattendo contro un’opera di Dio: “E ora vi dico: tenetevi lontani da loro, e ritiratevi da questi uomini; perché, se questo disegno o quest’opera è dagli uomini, sarà distrutta; ma se è da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio” (Atti 5:38-39). Papa Francesco riconsideri, in vista dell’eternità, il suo atto drastico e tragico, e con coraggio e umiltà ritratti questo nuovo motu proprio, ricordando le sue stesse parole: “In verità, la Chiesa mostra la sua fedeltà allo Spirito Santo in quanto non cerca di controllarlo o domarlo”. (Omelia nella Cattedrale cattolica dello Spirito Santo, Istanbul, 29 novembre 2014 )

Per il momento, molte famiglie cattoliche, giovani e sacerdoti di ogni continente piangono, perché il papa, loro padre spirituale, li ha privati ​​del nutrimento spirituale della Messa tradizionale, che ha tanto rafforzato la loro fede e il loro amore per Dio, per la Santa Madre Chiesa e per la sede apostolica. Possono, per un certo tempo, “[uscire] piangendo, portando il seme per la semina, ma torneranno a casa con grida di gioia, portando con sé i suoi covoni” (Salmo 126:6).

Queste famiglie, questi giovani e questi sacerdoti potrebbero rivolgere a papa Francesco queste o simili parole: “Padre Santissimo, restituiscici quel grande tesoro liturgico della Chiesa. Non trattarci come tuoi figli di seconda classe. Non violare le nostre coscienze costringendoci a un’unica ed esclusiva forma liturgica, tu che hai sempre proclamato al mondo intero la necessità della diversità, dell’accompagnamento pastorale e del rispetto della coscienza. Non ascoltate quei rappresentanti di un rigido clericalismo che ti hanno consigliato di compiere un’azione così spietata. Sii un vero padre di famiglia, che ‘tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche’ (Mt 13,52). Se ascolterai la nostra voce, nel giorno del tuo giudizio davanti a Dio, saremo i tuoi migliori intercessori”.

spain_icon
Spanish

Entrevista a Mons. Schneider sobre Traditionis Custodes

Mucho se está diciendo a favor y en contra del reciente Motu Proprio sobre la Misa Tradicional. Nos parece entonces un servicio eclesial el poder dar voz también a Mons. Schneider, en una reciente entrevista concedida a Diane Montagna, celebrando en esas líneas una actitud delicadamente pastoral y muy necesaria en horas muy oscuras para gran cantidad de fieles, sin dejarse llevar por un obsecuente respeto humano ni por reacciones intempestivas.  Subrayamos especialmente el poner de manifiesto una cuestión que no sólo desde un punto de vista católico sino sobre todo humano, nos preocupa: la violación del principio de identidad y de no contradicción, ya que hoy no sólo se está contradiciendo la voz del sentir milenario de la Iglesia sino muchas de las normas explícitamente  declamadas en el pontificado que transitamos, y que son aquí citadas oportunamente.

Por nuestra parte, rogamos a María, Auxilium Christianorum, que ilumine y proteja a la Iglesia en las actuales batallas, como lo hizo en tiempos de San Pío V, allá en Lepanto…

Diane Montagna: Excelencia, la nueva carta apostólica del Papa Francisco, emitida motu proprio el 16 de julio de 2021, se llama “Traditionis Custodes” (Guardianes de la Tradición). ¿Cuál fue su impresión inicial acerca de la elección de este título?

Mons. A. Schneider: - Mi impresión inicial fue la de un pastor que, en lugar de tener olor a sus ovejas, las golpea furiosamente con un palo.

D.M. ¿Cuáles son sus impresiones generales sobre el Motu Proprio y de la Carta adjunta del Papa Francisco a los obispos del mundo, en la que explica su razón de ser para restringir la Misa tradicional en latín?

Mons. A.Schneider: - En su Exhortación apostólica programática, Evangelii Gaudium, el Papa Francisco aboga por “ciertas actitudes que favorecen la apertura al mensaje: cercanía, disposición al diálogo, paciencia, calidez y acogida sin prejuicios” (n. 165). Sin embargo, al leer el nuevo Motu Proprio y la carta que lo acompaña, uno tiene la impresión opuesta, a saber, que el documento, en su conjunto, muestra una intolerancia pastoral e incluso una rigidez espiritual. El Motu Proprio y la Carta que lo acompaña comunican un espíritu crítico y hostil. En el documento sobre Fraternidad humana (firmado en Abu Dhabi el 4 de febrero de 2019), el Papa Francisco abraza la “diversidad de religiones”, mientras que en su nuevo Motu Proprio rechaza resueltamente la diversidad de formas litúrgicas en el rito romano.

Qué contraste tan flagrante de actitud presenta este Motu Proprio, en comparación con el principio rector del pontificado del Papa Francisco, es decir, la inclusión y el amor preferencial por las minorías y las periferias en la vida de la Iglesia. Y qué actitud sorprendentemente estrecha se descubre en el Motu Proprio, en contraste con las propias palabras del Papa Francisco:

“Sabemos que estamos tentados de diversas maneras a adoptar la lógica del privilegio que nos separa, excluye y cierra, mientras separamos, excluyendo y cerrando los sueños y la vida de tantos de nuestros hermanos y hermanas ”(Homilía de las Vísperas, 31 de diciembre de 2016 ).

Las nuevas normas del Motu Proprio degradan la forma milenaria de la lex orandi de la Iglesia Romana y, al mismo tiempo, cierran “los sueños y la vida de tantas” familias católicas, y especialmente de los jóvenes -laicos y sacerdotes-, cuya vida espiritual y amor por Cristo y la Iglesia han crecido y se han beneficiado enormemente de la forma tradicional de la Santa Misa.

El Motu Proprio establece un principio de rara exclusividad litúrgica, al afirmar que los nuevos libros litúrgicos promulgados son la única expresión de la lex orandi del Rito Romano (Art. 1). Qué contraste también es esta posición con estas otras palabras del Papa Francisco:

“Es cierto que el Espíritu Santo produce diferentes carismas en la Iglesia, que a primera vista pueden parecer crear desorden. Sin embargo, bajo su dirección, constituyen una riqueza inmensa, porque el Espíritu Santo es el Espíritu de unidad, que no es lo mismo que uniformidad ”( Homilía del Papa Francisco en la Catedral Católica del Espíritu Santo, Estambul, sábado, noviembre 29 de 2014 ).

 

D.M. ¿Cuáles son sus mayores preocupaciones sobre el nuevo documento?

Mons. A.Schneider: -Como obispo, una de mis principales preocupaciones es que, en lugar de fomentar una mayor unidad mediante la coexistencia de diversas formas litúrgicas auténticas, el Motu Proprio crea una sociedad de dos clases en la Iglesia, es decir, católicos de primera y católicos de segunda.  Los privilegiados de primera son aquellos que se adhieren a la liturgia reformada, es decir, el Novus Ordo , y los católicos de segunda, que ahora apenas serán tolerados, incluyen un gran número de familias católicas, niños, jóvenes y sacerdotes que, en las últimas décadas, han crecido en la liturgia tradicional y han experimentado, con gran beneficio espiritual, la realidad y el misterio de la Iglesia gracias a esta forma litúrgica, que las generaciones anteriores consideraron sagrada y que formó a tantos santos y católicos destacados a lo largo de la historia.

El Motu Proprio y la carta que lo acompaña cometen una injusticia contra todos los católicos que se adhieren a la forma litúrgica tradicional, acusándolos de ser divisivos y de rechazar el Concilio Vaticano II. De hecho, una parte considerable de estos católicos se mantiene alejada de las discusiones doctrinales sobre el Vaticano II, el Nuevo Ordinario de la Misa (Novus Ordo Missae), y otros problemas relacionados con la política eclesiástica. Solo quieren adorar a Dios en la forma litúrgica a través de la cual Dios ha tocado y transformado sus corazones y vidas. El argumento invocado en el Motu Proprio y la carta que lo acompaña, que sostiene que la forma litúrgica tradicional crea división y amenaza la unidad de la Iglesia, es refutado por los hechos.

Además, el tono despectivo adoptado en estos documentos contra la forma litúrgica tradicional llevaría a cualquier observador imparcial a concluir que tales argumentos son simplemente un pretexto y una artimaña, y que aquí hay algo más en juego.

D.M. ¿Qué tan convincente encuentra la comparación del Papa Francisco (en la carta que acompaña a los obispos) entre sus nuevas medidas y las adoptadas por San Pío V en 1570?

Mons. A.Schneider: -La época del Concilio Vaticano II y de la llamada Iglesia “conciliar” se ha caracterizado por una apertura a la diversidad e inclusión de espiritualidades y expresiones litúrgicas locales, junto a un rechazo del principio de uniformidad en la praxis litúrgica de la Iglesia. A lo largo de la historia, la verdadera actitud pastoral ha sido de tolerancia y respeto hacia una diversidad de formas litúrgicas, siempre que expresen la integridad de la fe católica, la dignidad y el carácter sagrado de las formas rituales y que brinden un verdadero fruto espiritual a la vida de los fieles. En el pasado, la Iglesia Romana reconoció la diversidad de expresiones en su lex orandi. En la constitución apostólica que promulga la liturgia tridentina, Quo Primum (1570), el Papa San Pío V, al aprobar todas aquellas expresiones litúrgicas de la Iglesia romana que tenían más de doscientos años, las reconoció como una expresión igualmente digna y legítima de la lex orandi de la Iglesia romana. En esta bula, el Papa San Pío V declaró que de ninguna manera rescindía otras expresiones litúrgicas legítimas dentro de la Iglesia Romana. La forma litúrgica de la Iglesia romana que fue válida hasta la reforma de Pablo VI no surgió con San Pío V, pero se mantuvo sustancialmente sin cambios incluso siglos antes del Concilio de Trento. La primera edición impresa del Missale Romanum se remonta a 1470, es decir, cien años antes del misal publicado por S. Pío V. El orden de la Misa de ambos misales es casi idéntico; la diferencia radica más en elementos secundarios, como el calendario, número de prefacios y normas de rúbrica más precisas.

El nuevo Motu Proprio del Papa Francisco también es profundamente preocupante porque manifiesta una actitud de discriminación contra una forma litúrgica de casi mil años de la Iglesia Católica. La Iglesia nunca ha rechazado lo que, a lo largo de muchos siglos, ha expresado santidad, precisión doctrinal y riqueza espiritual, y ha sido exaltado por muchos papas, grandes teólogos (por ejemplo, Santo Tomás de Aquino) y numerosos santos. Los pueblos de Europa Occidental y, en parte, de Europa Oriental, del Norte y del Sur de Europa, de las Américas, África y Asia fueron evangelizados y formados doctrinal y espiritualmente por el Rito Romano tradicional, y estos pueblos encontraron en ese rito su espiritualidad, su hogar litúrgico. El Papa S. Juan Pablo II dio ejemplo de una sincera apreciación de la forma tradicional de la Misa, cuando dijo:

“En el Misal Romano, llamado ‘de S. Pío V, como en varias liturgias orientales, hay hermosas plegarias con las cuales el sacerdote expresa el sentido más profundo de la humildad y la reverencia ante los misterios sagrados.  Estas plegarias revelan la sustancia propia de cualquier liturgia.” (Mensaje a los participantes en la Asamblea Plenaria de la Congregación para el Culto Divino y la disciplina de los Sacramentos, 21 de septiembre de 2001)

Iría en contra del verdadero espíritu de la Iglesia de todas las épocas expresar ahora desprecio por esta forma litúrgica, etiquetarla como “divisiva” y como algo peligroso para la unidad de la Iglesia, y emitir normas destinadas a hacer desaparecer esta forma en el tiempo. Las normas consagradas en el Motu Proprio del Papa Francisco buscan arrancar sin piedad de las almas y vidas de tantos católicos la liturgia tradicional, que en sí misma es santa y representa la patria espiritual de estos católicos. Con este Motu Proprio, los católicos que hoy han sido alimentados espiritualmente y formados por la liturgia tradicional de la Santa Madre Iglesia, ya no experimentarán a la Iglesia como una madre sino como una “madrastra”, en consonancia con la propia descripción del Papa Francisco:

Ah, ¡La madre que critica, que habla mal de sus hijos, no es madre!” Discurso a los consagrados y consagradas de la diócesis de Roma, 16 de mayo de 2015 )

 

D.M. La carta apostólica del Papa Francisco se emitió en la fiesta de Nuestra Señora del Monte Carmelo, patrona de los Carmelitas (como Santa Teresa de Lisieux), que rezan especialmente por los sacerdotes. A la luz de las nuevas medidas, ¿qué les diría a los seminaristas diocesanos y sacerdotes jóvenes que esperaban celebrar la Misa Tradicional?

Mons. A.Schneider: - El cardenal Joseph Ratzinger habló sobre la limitación de los poderes del Papa en cuanto a la liturgia, con esta esclarecedora explicación:

El Papa no es un monarca absoluto cuya voluntad es la ley; más bien, es el guardián de la Tradición auténtica y, por tanto, el principal garante de la obediencia. No puede hacer lo que quiere, y así puede oponerse a aquellas personas que, por su parte, quieren hacer lo que se les ocurra. Su gobierno no es el de un poder arbitrario, sino el de la obediencia en la fe. Por eso, con respecto a la liturgia, tiene la tarea de un jardinero, no la de un técnico que construye nuevas máquinas y tira las viejas a la basura. El “rito”, esa forma de celebración y oración que ha madurado en la fe y la vida de la Iglesia, es una forma condensada de Tradición viva en la que la esfera que usa ese rito expresa toda su fe y su oración, y así, al mismo tiempo, la comunión de generaciones entre sí se convierte en algo que podemos experimentar, comunión con las personas que oran antes que nosotros y después de nosotros. Así, el rito es un don que se da a la Iglesia, una forma viva de paradosis, la transmisión de la Tradición”. (Prefacio a “El desarrollo orgánico de la liturgia. Los principios de la reforma litúrgica y su relación con el movimiento litúrgico del siglo XX antes del Concilio Vaticano II ”por Dom Alcuin Reid, San Francisco 2004).

La Misa tradicional es un tesoro que pertenece a toda la Iglesia, ya que ha sido celebrada y profundamente apreciada y amada por sacerdotes y santos durante al menos mil años. De hecho, la forma tradicional de la Misa fue casi idéntica durante siglos antes de la publicación del Misal del Papa S.Pío V en 1570. Un tesoro litúrgico válido y muy estimado de casi mil años no es propiedad privada de un Papa y del que puede disponer libremente. Por tanto, los seminaristas y sacerdotes jóvenes deben pedir el derecho a utilizar este tesoro común de la Iglesia, y si se les niega este derecho, pueden hacerlo sin embargo, quizás de forma clandestina. Esto no sería un acto de desobediencia, sino de obediencia a la Santa Madre Iglesia, que nos ha legado este tesoro litúrgico.

D.M. -Excelencia, ¿cuál ha sido su impresión hasta ahora de la implementación de “Traditionis Custodes”?

Mons. A.Schneider: -En unos pocos días, los obispos diocesanos e incluso toda una conferencia episcopal ya han comenzado por una supresión sistemática de cualquier celebración de la forma tradicional de la Santa Misa. Estos nuevos “inquisidores de la liturgia” han mostrado un clericalismo asombrosamente rígido, similar a ese descrito y lamentado por el Papa Francisco, cuando dijo:

“Hay ese espíritu de clericalismo en la Iglesia, que uno siente: los clérigos se sienten superiores, los clérigos se apartan del pueblo, los clérigos siempre dicen: ‘esto se hace como esto, así, así, ¡y si no, te vas! ‘”(Meditación diaria en la Santa Misa del 13 de diciembre de 2016).

El Motu Proprio antitradicional del Papa Francisco comparte algunas similitudes con las decisiones litúrgicas fatídicas y extremadamente rígidas tomadas por la Iglesia Ruso-Ortodoxa bajo el Patriarca Nikon de Moscú entre 1652 y 1666. Esto finalmente condujo a un cisma duradero conocido como los “Viejos Ritualistas” (en ruso: staroobryadtsy), quienes mantuvieron las prácticas litúrgicas y rituales de la Iglesia rusa tal como estaban antes de las reformas del Patriarca Nikon. Resistiendo la acomodación de la piedad rusa a las formas contemporáneas del culto ortodoxo griego, estos viejos ritualistas fueron anatematizados, junto con su ritual, en un Sínodo de 1666-1667, produciendo una división entre los antiguos ritualistas y aquellos que siguieron a la iglesia estatal en su condena del Antiguo Rito. Hoy la Iglesia Ruso-Ortodoxa lamenta las drásticas decisiones del Patriarca Nikon, pues si las normas que implementó hubieran sido verdaderamente pastorales y hubieran permitido el uso del antiguo rito, no habría habido un cisma de siglos, con muchos sufrimientos innecesarios y crueles.

En nuestros días asistimos a cada vez más celebraciones de la Santa Misa, que se han convertido en una plataforma para promover el estilo de vida pecaminoso de la homosexualidad, las llamadas “Misas LGBT”, una expresión que en sí misma ya es una blasfemia. Estas misas son toleradas por la Santa Sede y muchos obispos. Lo que se necesita con urgencia es un Motu Proprio con normas estrictas que repriman la práctica de tales “Misas LGBT”, ya que son un ultraje a la majestad divina, un escándalo para los fieles (los pequeños) y una injusticia hacia los homosexuales sexualmente activos, personas que por tales celebraciones son confirmadas en sus pecados, y cuya salvación eterna se pone por ello en peligro.

D.M. -Y sin embargo, varios obispos, particularmente en los Estados Unidos pero también en otros lugares, como en Francia, han apoyado a los fieles de su diócesis que están apegados a la Misa Tradicional en Latín. ¿Qué diría usted para animar a estos sus hermanos obispos? ¿Y qué actitud deben tener los fieles hacia sus obispos, muchos de los cuales quedaron sorprendidos por el documento?

Mons. A.Schneider: -Estos obispos han mostrado una verdadera actitud apostólica y pastoral, como los que son “pastores con olor a oveja”. Animaría a estos y muchos otros obispos a continuar con una actitud pastoral tan noble. Que ni las alabanzas de los hombres ni el temor de los hombres los conmuevan, sino sólo la mayor gloria de Dios, y el mayor beneficio espiritual de las almas y su salvación eterna. Por su parte, los fieles deben demostrar hacia estos obispos gratitud, respeto y amor filial.

D.M. -¿Qué efecto cree Ud. que tendrá el Motu Proprio?

Mons. A.Schneider: -El nuevo Motu Proprio del Papa Francisco es, en última instancia, una victoria pírrica y tendrá un efecto boomerang. Las numerosas familias católicas y el número cada vez mayor de jóvenes y sacerdotes, en particular sacerdotes jóvenes, que asisten a la Misa tradicional, no podrán permitir que su conciencia sea violada por un acto administrativo tan drástico. Decirles a estos fieles y sacerdotes que simplemente deben ser obedientes a estas normas, en última instancia, no funcionará con ellos, porque entienden que una llamada a la obediencia pierde su poder cuando el objetivo es suprimir la forma tradicional de la liturgia, el gran tesoro litúrgico de la Iglesia Romana.

Con el tiempo, seguramente surgirá una cadena mundial de misas de catacumbas, como sucede en tiempos de emergencia y persecución. De hecho, podemos ser testigos de una era de misas tradicionales clandestinas, similar a la que Aloysius O’Kelly describió de manera tan impresionante en su pintura, “Misa en Connemara (Irlanda) durante tiempos penales". O quizás vivamos una época similar a la descrita por San Basilio el Grande, cuando los católicos tradicionales fueron perseguidos por un episcopado arriano liberal en el siglo IV. San Basilio escribió:

“La boca de los verdaderos creyentes es muda, mientras que toda lengua blasfema se menea libremente; las cosas santas son holladas; los mejores laicos evitan las iglesias como escuelas de impiedad; y alzan sus manos en los desiertos con suspiros y lágrimas a su Señor en el cielo. Incluso debes haber escuchado lo que está sucediendo en la mayoría de nuestras ciudades, (Cf. Carta 92 ).

La difusión admirable, armoniosa y bastante espontánea y el crecimiento continuo de la forma tradicional de la Misa, en casi todos los países del mundo, incluso en las tierras más remotas, es sin duda obra del Espíritu Santo, y un verdadero signo de nuestro tiempo. Esta forma de celebración litúrgica da verdaderos frutos espirituales, especialmente en la vida de los jóvenes y conversos a la Iglesia católica, ya que muchos de estos últimos se sintieron atraídos por la fe católica precisamente por el poder irradiante de este tesoro de la Iglesia.

El Papa Francisco y los demás obispos que ejecutarán su Motu Proprio deben considerar seriamente el sabio consejo de Gamaliel y preguntarse si realmente están luchando contra una obra de Dios:

En el caso que nos ocupa, os digo, manteneos alejados de estos hombres y déjalos solos; porque si este plan o esta empresa es de hombres, fallará; pero si es de Dios, no podrás derribarlos. ¡Incluso podrías encontrarte oponiéndote a Dios! “(Hechos 5: 38-39).

Que el Papa Francisco reconsidere, con miras a la eternidad, su acto drástico y trágico, y retraiga con valentía y humildad este nuevo Motu Proprio, recordando sus propias palabras:

“En verdad, la Iglesia muestra su fidelidad al Espíritu Santo tanto como no intenta controlarlo o domesticarlo". (Homilía en la Catedral Católica del Espíritu Santo, Estambul, sábado 29 de noviembre de 2014 )

Por el momento, muchas familias católicas, jóvenes y sacerdotes de todos los continentes lloran ahora, porque el Papa, su padre espiritual, los ha privado del alimento de la Misa tradicional, que tanto ha fortalecido su fe y su amor por Dios, por la Santa Madre Iglesia y por la Sede Apostólica. Es posible que, por un tiempo, “[salgan] llorando, llevando la semilla para sembrar, pero volverán a casa con gritos de alegría, trayendo sus gavillas repletas” (Salmo 126: 6).

Estas familias, jóvenes y sacerdotes podrían dirigir al Papa Francisco estas u otras palabras similares:

“Santísimo Padre, devuélvenos ese gran tesoro litúrgico de la Iglesia. No nos trates como a hijos de segunda clase. No violes nuestra conciencia forzándonos a una forma litúrgica única y exclusiva, tú que siempre proclamaste al mundo entero la necesidad de la diversidad, el acompañamiento pastoral y el respeto de la conciencia. No escuches a esos representantes de un clericalismo rígido que te aconsejaron llevar a cabo una acción tan despiadada. Se un verdadero padre de familia, que “saca de su tesoro lo nuevo y lo viejo” (Mt 13,52). Si escuchas nuestra voz, en el día del juicio ante Dios, seremos tus mejores intercesores".

france_icon
French

“Traditionis custodes” : Mgr Schneider répond aux questions de Diane Montagna (traduction intégrale)

Je vous propose, à la demande de Mgr Schneider, ma traduction française et officielle de l’entretien qu’il vient de donner à Diane Montagna pour “The Remnant”, sur le Motu proprio Traditionis Custodes. C’est un texte vigoureux, où le prélat invite les catholiques attachés à la messe traditionnelle de combattre les velléités des « inquisiteurs de la liturgie » de faire disparaître la messe tridentine. – J.S.

Diane Montagna : Excellence, la nouvelle lettre apostolique du pape François, publiée sous forme de Motu proprio le 16 juillet 2021, s’intitule Traditionis Custodes (Gardiens de la Tradition). Quelle a été votre première impression quant au choix de ce titre ?

Mgr Schneider : Cela m’a d’emblée fait l’impression d’un berger qui, au lieu de porter l’odeur de ses brebis, les frappe rageusement avec un bâton.

Quelles sont vos impressions générales à propos de ce Motu proprio et de la Lettre du Pape François aux évêques du monde entier qui l’accompagne, où il explique ses raisons pour restreindre la Messe latine traditionnelle ?

Dans son exhortation apostolique programmatique Evangelii Gaudium, le Pape François recommande certaines « dispositions qui aident à mieux accueillir l’annonce : proximité, ouverture au dialogue, patience, accueil cordial qui ne condamne pas » (n. 165). Pourtant, à la lecture du nouveau Motu proprio et de la Lettre qui l’accompagne, on a l’impression inverse, à savoir que le document, dans son ensemble, fait preuve d’intolérance pastorale et même de rigidité spirituelle. Le Motu proprio et la Lettre qui l’accompagne communiquent un esprit réprobateur et peu accueillant. Dans le document sur la fraternité humaine (signé à Abu Dhabi le 4 février 2019), le pape François embrasse la « diversité des religions », alors que dans son nouveau Motu proprio, il rejette résolument la diversité des formes liturgiques du rite romain.

Ce Motu proprio présente un contraste d’attitude, ô combien flagrant, par rapport au principe directeur du pontificat du Pape François, à savoir l’inclusion et l’amour préférentiel pour les minorités et ceux qui se trouvent à la périphérie de la vie de l’Église. Et quelle position étonnamment étroite d’esprit ne découvre-t-on pas dans le Motu Proprio, en contradiction avec les propres mots du Pape François : « Nous savons que de différentes parts nous sommes tentés de vivre dans cette logique du privilège qui nous sépare – en séparant, qui nous exclue – en excluant, qui nous enferme – en enfermant les rêves et la vie de tant de nos frères » (Homélie aux Vêpres, 31 décembre 2016). Les nouvelles normes du Motu proprio dénigrent la forme millénaire de la lex orandi de l’Église romaine et, en même temps, elles « enferment les rêves et la vies de tant » de familles catholiques, et en particulier des jeunes et des jeunes prêtres, dont la vie spirituelle et l’amour pour le Christ et l’Église ont grandi et ont grandement bénéficié de la forme traditionnelle de la sainte messe.

Le Motu proprio établit le principe d’une rare exclusivité liturgique, en déclarant que les nouveaux livres liturgiques promulgués sont la seule expression [unica] de la lex orandi du Rite Romain (Art. 1). Quel contraste cette position n’offre-t-elle pas, aussi, par rapport à ces paroles du pape François : « C’est vrai, l’Esprit Saint suscite les différents charismes dans l’Église ; apparemment, cela semble créer du désordre, mais en réalité, sous sa conduite, cela constitue une immense richesse, parce que l’Esprit Saint est l’Esprit d’unité, qui ne signifie pas uniformité » (Homélie du pape François à la cathédrale catholique du Saint-Esprit, Istanbul, samedi 29 novembre 2014).

Quelles sont les plus grandes inquiétudes que suscitent chez vous le nouveau document ?

En tant qu’évêque, l’une de mes principales préoccupations est celle-ci : qu’au lieu de favoriser une plus grande unité par la coexistence de diverses formes liturgiques authentiques, le Motu proprio ne crée une société à deux vitesses dans l’Église, avec des catholiques de première classe et des catholiques de seconde classe. Les privilégiés de première classe sont ceux qui adhèrent à la liturgie réformée, c’est-à-dire au Novus Ordo, tandis que les catholiques de seconde classe, qui seront désormais à peine tolérés, comprennent un grand nombre de familles, d’enfants, de jeunes et de prêtres catholiques qui, au cours des dernières décennies, ont grandi dans la liturgie traditionnelle et ont fait l’expérience, avec un grand bénéfice spirituel, de la réalité et du mystère de l’Église grâce à cette forme liturgique, que les générations précédentes considéraient comme sacrée et qui a formé tant de saints et de catholiques exceptionnels au cours de l’histoire.

Le Motu proprio et la lettre qui l’accompagne commettent une injustice à l’égard de tous les catholiques qui adhèrent à la forme liturgique traditionnelle, en les accusant d’être source de division et de rejeter le Concile Vatican II. En fait, une partie considérable de ces catholiques se tient loin des discussions doctrinales à propos de Vatican II, du nouvel ordre de la Messe (Novus Ordo Missae), et d’autres problèmes liés à la politique ecclésiastique. Ils veulent simplement adorer Dieu dans la forme liturgique par laquelle Dieu a touché et transformé leurs cœurs et leurs vies. L’argument invoqué dans le Motu proprio et la lettre qui l’accompagne, à savoir que la forme liturgique traditionnelle crée des divisions et menace l’unité de l’Église, est contredit par les faits. En outre, le ton désobligeant adopté dans ces documents à l’encontre de la forme liturgique traditionnelle conduirait tout observateur impartial à conclure que ces arguments ne sont qu’un prétexte et une ruse, et que quelque chose d’autre est ici en jeu.

Trouvez-vous probante la comparaison faite par le pape François (dans sa lettre d’accompagnement aux évêques) entre ses nouvelles mesures et celles prises par saint Pie V en 1570 ?

L’époque du concile Vatican II et de l’Église dite « conciliaire » a été caractérisée par une ouverture à la diversité et à l’inclusion des spiritualités et des expressions liturgiques locales, ainsi que par le rejet du principe d’uniformité de la pratique liturgique de l’Église. Tout au long de l’histoire, la véritable attitude pastorale a été celle de la tolérance et du respect envers une diversité de formes liturgiques, à condition qu’elles expriment l’intégrité de la foi catholique, la dignité et le caractère sacré des formes rituelles, et qu’elles portent un véritable fruit spirituel dans la vie des fidèles. L’Église romaine reconnaissait jadis la diversité des expressions dans sa lex orandi. Dans la constitution apostolique promulguant la liturgie tridentine, Quo Primum (1570), le pape Pie V, en approuvant toutes les expressions liturgiques de l’Église romaine qui avaient plus de deux cents ans, les reconnaissait comme une expression également digne et légitime de la lex orandi de l’Église romaine. Dans cette bulle, le pape Pie V a déclaré qu’il n’annulait en aucun cas les autres expressions liturgiques légitimes de l’Église romaine. La forme liturgique de l’Église romaine qui était valide jusqu’à la réforme de Paul VI n’est pas née avec Pie V, mais est restée essentiellement inchangée même pendant des siècles avant le Concile de Trente. La première édition imprimée du Missale Romanum remonte à 1470, soit cent ans avant le missel publié par Pie V. L’ordre de la messe des deux missels est presque identique ; la différence réside davantage dans des éléments secondaires, tels que le calendrier, le nombre de préfaces et des normes rubriques plus précises.

Le nouveau Motu Proprio du pape François est également très préoccupant en ce qu’il manifeste une attitude discriminatoire à l’égard d’une forme liturgique quasi millénaire de l’Église catholique. L’Église n’a jamais rejeté ce qui, au cours de nombreux siècles, a exprimé le caractère sacré, la précision doctrinale et la richesse spirituelle, et a été exalté par de nombreux papes, de grands théologiens (par exemple saint Thomas d’Aquin) et de nombreux saints. Les peuples d’Europe occidentale et, en partie, d’Europe orientale, d’Europe du Nord et du Sud, des Amériques, d’Afrique et d’Asie ont été évangélisés et formés doctrinalement et spirituellement par le rite romain traditionnel, et ces peuples ont trouvé dans ce rite leur demeure spirituelle et liturgique. Le pape Jean-Paul II a donné un exemple d’appréciation sincère de la forme traditionnelle de la Messe, lorsqu’il a affirmé : « Dans le Missel Romain, dit de Saint Pie V, comme dans diverses liturgies orientales, on trouve de très belles prières avec lesquelles le prêtre exprime le plus profond sens d’humilité et de révérence face aux saints mystères: celles-ci révèlent la substance même de toute liturgie » (Message aux participants à l’Assemblée plénière de la Congrégation pour le culte divin et la discipline des sacrements, 21 septembre 2001).

Ce serait aller contre le véritable esprit de l’Église de tous les temps que d’exprimer aujourd’hui du mépris pour cette forme liturgique, de la désigner comme « source de division » et comme dangereuse pour l’unité de l’Église, et d’émettre des normes visant à faire disparaître cette forme à terme. Les normes établies par le Motu proprio du pape François cherchent à arracher sans pitié la liturgie traditionnelle des âmes et des vies de tant de catholiques, elle qui est sainte en soi et représente la patrie spirituelle de ces catholiques. Avec ce Motu Proprio, les catholiques qui ont été aujourd’hui spirituellement nourris et formés par la liturgie traditionnelle de la Sainte Mère l’Eglise, ne vivront plus l’Eglise comme une mère mais plutôt comme une « marâtre », conformément à la description qu’en a faite le pape François lui-même : « Une mère qui critique, qui dit du mal de ses enfants n’est pas une mère ! Je crois que l’on dit “marâtre” en italien… Elle n’est pas une mère » (Discours aux religieux du diocèse de Rome, 16 mai 2015).

La lettre apostolique du pape François a été publiée le jour de la fête de Notre-Dame du Mont Carmel, patronne des carmélites (comme sainte Thérèse de Lisieux), qui prient particulièrement pour les prêtres. À la lumière de ces nouvelles mesures, que diriez-vous aux séminaristes diocésains et aux jeunes prêtres qui espéraient célébrer la messe traditionnelle en latin ?

Le cardinal Joseph Ratzinger a abordé la question de la limitation des pouvoirs du pape en matière de liturgie, en donnant cette explication éclairante : « Le Pape n’est pas un monarque absolu dont la volonté fait loi, mais plutôt le gardien de l’authentique Tradition et par là même, le premier garant de l’obéissance. Il ne peut pas faire ce qu’il veut, et c’est justement pour cela qu’il peut s’opposer à ceux qui entendent faire ce qu’ils veulent. La loi à laquelle il doit s’en tenir n’est pas d’agir ad libitum, mais l’obéissance à la foi. C’est pourquoi, par rapport à la liturgie, il exerce la tâche du jardinier, et non pas celle du technicien qui construit des machines neuves en jetant les vieilles. Le “rite”, c’est-à-dire la forme de célébration et de prière qui mûrit dans la foi et dans la vie de l’Église, est une forme condensée de la Tradition vivante dans laquelle la sphère du rite exprime l’ensemble de sa foi et de sa prière, permettant ainsi en même temps d’expérimenter la communion entre les générations, la communion avec ceux qui priaient avant nous et prieront après nous. Ainsi le rite apparaît comme un don fait à l’Église, une forme vivante de paradosis, de transmission de la Tradition » (Préface du livre The Organic Development of the Liturgy.  The Principles of Liturgical Reform and Their Relation to the Twentieth-century Liturgical Movement Prior to the Second Vatican Council par Dom Alcuin Reid, San Francisco 2004).

La Messe traditionnelle est un trésor qui appartient à toute l’Église, puisque les prêtres et les saints l’ont célébrée et profondément estimée et aimée depuis mille ans au moins. En fait, la forme traditionnelle de la Messe était déjà presque la même pendant des siècles avant la publication du Missel du pape Pie V en 1570. Un trésor liturgique valide et hautement estimé, vieux de près de mille ans, n’est pas la propriété privée d’un pape, dont il pourrait librement disposer. Par conséquent, les séminaristes et les jeunes prêtres doivent demander le droit d’utiliser ce trésor commun de l’Église, et si ce droit leur était refusé, ils pourraient néanmoins l’utiliser, peut-être de manière clandestine. Ce ne serait pas un acte de désobéissance, mais plutôt d’obéissance à la Sainte Mère l’Église qui nous a donné ce trésor liturgique. Le ferme rejet d’une forme liturgique quasi millénaire par le pape François représente, en effet, un phénomène éphémère par rapport à l’esprit et à la praxis constants de l’Église.

Excellence, quelle a été votre impression jusqu’à présent quant à la mise en œuvre de Traditionis Custodes ?

En quelques jours à peine, des évêques diocésains et même une conférence épiscopale entière ont déjà commencé à supprimer systématiquement toute célébration de la forme traditionnelle de la Sainte Messe. Ces nouveaux « inquisiteurs de la liturgie » ont fait preuve d’un cléricalisme étonnamment rigide, semblable à celui décrit et déploré par le pape François, lorsqu’il a déclaré : « Il existe cet esprit de cléricalisme dans l’Église, que l’on sent : les clercs se sentent supérieurs, les clercs s’éloignent des gens, les clercs disent toujours : “cela se fait ainsi, ainsi, ainsi, et vous, allez vous-en!” » (Méditation quotidienne de la sainte messe du 13 décembre 2016).

Le Motu proprio anti-traditionnel du pape François partage certaines similitudes avec les décisions liturgiques fatidiques et extrêmement rigides prises par l’Église russe-orthodoxe sous le patriarche Nikon de Moscou entre 1652 et 1666. Elles avaient fini par aboutir à un schisme durable connu sous le nom de « Vieux Ritualistes » (en russe : staroobryadtsy), qui ont maintenu les pratiques liturgiques et rituelles de l’Église russe telles qu’elles existaient avant les réformes du patriarche Nikon. Résistant à l’adaptation de la piété russe aux formes contemporaines du culte grec-orthodoxe, ces vieux ritualistes ont été anathématisés, ainsi que leur rituel, lors du synode de 1666-67, ce qui a provoqué une division entre les vieux ritualistes et ceux qui ont suivi l’Église d’État dans sa condamnation du vieux rite. Aujourd’hui, l’Église orthodoxe russe regrette les décisions draconiennes du patriarche Nikon, car si les normes qu’il a mises en œuvre avaient réellement été pastorales, et qu’elles avaient permis l’utilisation de l’ancien rite, il n’y aurait pas eu un schisme de plusieurs siècles, avec de nombreuses souffrances inutiles et cruelles.

Nous assistons aujourd’hui à un nombre croissant de célébrations de la sainte messe, qui sont devenues une plate-forme pour promouvoir le mode de vie pécheur de l’homosexualité – les « messes LGBT », une expression qui, en soi, est déjà un blasphème. De telles messes sont tolérées par le Saint-Siège et de nombreux évêques. Il est urgent d’adopter un Motu proprio avec des normes strictes supprimant la pratique de ces « messes LGBT », car elles sont un outrage à la majesté divine, un scandale pour les fidèles (les petits) et une injustice envers les personnes homosexuelles sexuellement actives qui, par ces célébrations, sont confirmées dans leurs péchés et dont le salut éternel est ainsi mis en danger.

Pourtant, un certain nombre d’évêques, notamment aux Etats-Unis mais aussi ailleurs, comme en France, ont soutenu les fidèles de leur diocèse attachés à la messe latine traditionnelle. Que diriez-vous pour encourager ces frères évêques ? Et quelle attitude les fidèles doivent-ils avoir à l’égard de leurs évêques, dont beaucoup ont été eux-mêmes surpris par le document ?

Ces évêques ont fait preuve d’une véritable attitude apostolique et pastorale, comme ceux qui sont « des bergers avec l’odeur des brebis ». J’encourage ces évêques et beaucoup d’autres à poursuivre cette noble attitude pastorale. Que ni les louanges des hommes ni la crainte des hommes ne les animent, mais seulement la plus grande gloire de Dieu, et le plus grand bénéfice spirituel des âmes et leur salut éternel. De leur côté, les fidèles doivent manifester à l’égard de ces évêques, gratitude, respect et amour filial.

Quel effet produira selon vous le Motu Proprio ?

Le nouveau Motu proprio du Pape François est finalement une victoire à la Pyrrhus ; il aura un effet boomerang. Les nombreuses familles catholiques et le nombre toujours croissant de jeunes et de prêtres – en particulier de jeunes prêtres – qui assistent à la messe traditionnelle, ne pourront pas permettre que leur conscience soit violée par un acte administratif aussi radical. Dire à ces fidèles et à ces prêtres qu’ils doivent simplement être obéissants à ces normes ne fonctionnera pas avec eux, en définitive, parce qu’ils comprennent qu’un appel à l’obéissance perd son pouvoir quand le but est de supprimer la forme traditionnelle de la liturgie, le grand trésor liturgique de l’Église romaine.

Avec le temps, une chaîne mondiale de messes-catacombes va certainement apparaître, comme cela se produit en période d’urgence et de persécution. Il se peut que nous assistions à une ère de messes traditionnelles clandestines, semblables à celle, si impressionnante, dépeinte par Aloysius O’Kelly dans son tableau Mass in Connemara (Ireland) during Penal Times. Ou peut-être vivrons-nous une époque semblable à celle décrite par saint Basile le Grand, lorsque les catholiques traditionnels étaient persécutés par un épiscopat arien libéral au quatrième siècle. Saint Basile écrivait : « Les bouches des vrais croyants sont muettes, tandis que toute langue blasphématoire s’agite librement ; les choses saintes sont foulées aux pieds ; les meilleurs laïcs fuient les églises comme des écoles d’impiété ; et ils lèvent leurs mains dans les déserts avec des soupirs et des larmes vers leur Seigneur dans le ciel. Vous avez dû entendre ce qui se passe dans la plupart de nos villes, comment nos gens, avec femmes et enfants, et même nos vieillards, sortent en courant devant les murs, et font leurs prières en plein air, supportant avec une grande patience tous les inconvénients du temps, et attendant le secours du Seigneur » (Lettre 92).

La diffusion admirable, harmonieuse et tout à fait spontanée de la forme traditionnelle de la Messe et sa croissance continue, dans presque tous les pays du monde, y compris dans les terres les plus reculées, est sans aucun doute l’œuvre de l’Esprit Saint, et un véritable signe de notre temps. Cette forme de la célébration liturgique porte de véritables fruits spirituels, en particulier dans la vie des jeunes et des convertis à l’Église catholique, car beaucoup de ces derniers ont été attirés à la foi catholique précisément grâce au pouvoir irradiant de ce trésor de l’Église. Le pape François et les autres évêques qui exécuteront son Motu proprio devraient sérieusement prendre en considération le sage conseil de Gamaliel, et se demander s’ils ne sont pas en train de lutter contre une œuvre de Dieu : « Et maintenant je vous dis : Retirez-vous de ces hommes, et laissez-les aller ; car si ce conseil ou cette œuvre vient des hommes, elle (se) dissoudra ; mais si elle vient de Dieu, vous ne pourrez pas la dissoudre, et vous risquez de combattre contre Dieu même ! » (Actes 5, 38-39). Puisse le pape François reconsidérer, en vue de l’éternité, son acte draconien et tragique, et rétracter courageusement et humblement ce nouveau Motu proprio, en rappelant ses propres paroles : « En réalité, l’Église se montre fidèle à l’Esprit Saint dans la mesure où elle n’a pas la prétention de le régler ni de le domestiquer » (Homélie à la cathédrale catholique du Saint-Esprit, Istanbul, samedi 29 novembre 2014).

En attendant, de nombreuses familles catholiques, des jeunes et des prêtres de tous les continents pleurent maintenant, car le Pape – leur père spirituel – les a privés de la nourriture spirituelle de la Messe traditionnelle, qui a tant renforcé leur foi et leur amour pour Dieu, pour la Sainte Mère l’Église et pour le Siège Apostolique. Ils peuvent, pour un temps, « s’en aller en pleurant, jetant la semence ;

ils s’en viennent, ils s’en viennent dans la joie, ils rapporte les gerbes. » (Psaume 126, 6).

Ces familles, ces jeunes et ces prêtres pourraient adresser au pape François des mots semblables à ceux-ci : « Très Saint Père, rendez-nous ce grand trésor liturgique de de l’Église. Ne nous traitez pas comme vos enfants de seconde zone. Ne violez pas nos consciences en nous obligeant à adopter une forme liturgique unique et exclusive, vous qui avez toujours proclamé au monde entier la nécessité de la diversité, de l’accompagnement pastoral et du respect de la conscience. N’écoutez pas les représentants d’un cléricalisme rigide qui vous ont conseillé de réaliser une action aussi impitoyable. Soyez un vrai père de famille, qui “tire de son trésor ce qui est nouveau et ce qui est ancien” (Mt 13, 52). Si vous voulez bien entendre notre voix, au jour de votre jugement devant Dieu, nous serons vos meilleurs intercesseurs.